Siena, Un po di Storia: La “Grande Guerra” a Siena di Silvia Bianciardi e Giacomo Zanibelli

“LA GRANDE GUERRA A SIENA.UNO STUDIO SU ECONOMIA, POLITICA E ISTITUZIONI DAL NEUTRALISMO ALLE PROBLEMATICHE SOCIALI DEL POST CONFLITTO”

L’Italia ha affrontato con notevole entusiasmo la ricorrenza per il cente-nario della Grande guerra, in tutta la penisola sono sorti comitati, di varianatura, che hanno cercato, ognuno secondo la propria missione, di portarecontributi interessanti e in alcuni casi anche innovativi. In proposito appa-re significativo evidenziare come molte di queste iniziative si collochino apieno titolo in quella che viene comunemente chiamata
 public history
, re-centemente approdata in Italia grazie a studiosi come Alfonso Botti, SergeNoiret, Maurizio Ridolfi e Luigi Tomassini. In una tale prospettiva laGrande guerra diviene un campo d’indagine privilegiato di quella che po-tremmo definire come
 public local history.

 È da un simile approccio che sipuò partire per dare nuova linfa alla storiografia locale liberandola così dastudi di natura esclusivamente aneddotica ed antiquaria ed è bene che ildinamismo “civico”, sopra descritto, abbia portato a cercare nuovi filonidi ricerca che spesso si sono sviluppati in ambito interdisciplinare. Già inpassato, tra gli storici, era sorta la necessità di guardare oltre il semplicefenomeno strategico-militare, ed era apparso ineluttabile volgere lo sguar-do verso tutti quei territori che, pur non trovandosi nelle prossimità del 

fronte, subirono tutte le atrocità che il primo conflitto su scala mondialeportava con sé.La definizione stessa di fronte interno rimanda, del resto, ad un’idea diconflitto in cui nessuno può e deve ritenersi esente dallo sforzo nazionaleche la guerra richiede.
 In questo senso anche la Prima guerra mondialedeve essere vista come fenomeno “totalizzante”. E proprio sul tema del«fronte interno» si ritiene che molto rimanga ancora da scrivere. Lo studiosugli anni del conflitto non può e non deve limitarsi all’aspetto bellico, aisuoi protagonisti e ai territori che furono teatro degli scontri. Si delineereb- be così una visione parziale che finirebbe per escludere tutti coloro che, purnon essendo mai entrati materialmente in contatto con la guerra, subironougualmente le conseguenze sulla loro quotidianità. Da questa riflessione dicarattere metodologico si possono individuare due filoni di indagine chepermettono di poter sviluppare un’analisi dettagliata su ciò che realmentefu il dramma del «fronte interno».Soffermarsi sulla dimensione locale e indagare con sguardo meticolosoin che modo i territori affrontarono il trauma del conflitto, permette diaggiungere tessere ancora mancanti al grande mosaico della ricostruzionestoriografica sulla Grande guerra. Non dunque una deriva localistica, in cuila singola esperienza di per sé poco racconta dell’immagine complessiva,ma un’attenzione nuova a tutti quegli aspetti che fecero delle comunitàe dei territori le cellule primarie attraverso cui l’esperienza bellica vennefiltrata a livello più alto. La “provincia”, intesa come realtà periferica, puòdivenire un angolo di lettura privilegiato per aggiungere un nuovo tasselloper comprendere come rispose la società italiana al conflitto. Altro aspetto imprescindibile è quello della dimensione umana. Molto siè discusso sul paese in prima linea. Ma la guerra la vissero anche tutti coloroche “rimasero”, in particolar modo le donne, i bambini e i contadini nellecampagne, ma anche chi amministrò l’emergenza bellica all’interno delle isti-tuzioni. Ognuno di loro, da posizioni diverse e con sacrifici senza dubbio stra-ordinari, si trovò comunque a dover piegare la propria vita sulle contingenzeimposte dal conflitto come spiegato da studiosi come Di Girolamo e Tomas
ini.
La storia della Grande guerra in Italia può essere vista come storia diindividui, avvolti tra le maglie di una mobilitazione civile che fu oppressivacome quella militare. Queste motivazioni trovano necessariamente riscontronella necessità, ormai inarrestabile, di andare ad indagare in modo specula-tivo sul concetto stesso di «identità italiana».
 La storiografia è concorde nelritenere che il Primo conflitto mondiale fu un banco di prova importanteper provare a unire gli italiani; se il Risorgimento era stato operazione dipochi rispetto ai molti, spesso inconsapevoli, la Grande Guerra rappresentòl’occasione per tentare di avviare realmente un percorso di creazione di una
national identity italiana
. Non fu quindi il consacrarsi di un concetto di unitàe di immedesimazione, ma l’inizio di un percorso dalle mille sfaccettature,destinato però ad essere tormentato, che a tutt’oggi attende di realizzarsi.
Gli storici militari hanno sottolineato, con decisione, come la Grandeguerra mutò radicalmente il modo di combattere, tutti i maggiori conflittiche si erano svolti in epoca contemporanea avevano sempre interessato estraziato i territori limitrofi ai campi di combattimento; questo perché per-sistevano sempre quelle strategie militari che dall’età moderna, passandoper l’
ancién reime
, erano arrivate fino al movimentato periodo risorgimen-tale. La situazione italiana era ancora più difficoltosa poiché usciva da unconflitto che doveva essere “lampo”, come la guerra di Libia, che in realtàcreò non pochi problemi all’
establishment 
 militare italiano.

Nella Grande guerra ogni singolo territorio fu coinvolto dalla furiadevastatrice, non solo bellica, che il conflitto portava con sé. Per questomotivo appare significativo e storicamente rilevante analizzare la situazio-ne economico-istituzionale dell’area senese negli anni 1914-1918. Al fine dicomprendere appieno cosa significarono per la città gli anni del neutralismoe del conflitto appare ineludibile focalizzare la riflessione sulle peculiarità 

del territorio senese. La storiografia, negli ultimi tempi, sta guardando conmolta attenzione al fenomeno locale in chiave comparativa per stendereanalisi di più ampio respiro. Ripercorrendo l’onda lunga di questi interventisi può notare nettamente, grazie anche all’ultimo contributo del compian-to Antonio Cardini, come Siena divenne inaccessibile nel momento in cui,nel XIX secolo grazie alla seconda industrializzazione, mutarono i mezzi ditrasporto cambiando in modo indelebile il rapporto tra spazio e tempo. Fuin quel periodo che Siena cessò di essere la «figlia della strada» e si chiusein uno «splendido isolazionismo» che finì per preservarla da una modernitàinvadente. Tale situazione di emarginazione finì per privilegiare la classe di-rigente locale che, grazie ad operazioni camaleontiche, riuscì a preservareil controllo sulla città mantenendo inalterata anche l’economia basata suldualismo tra Monte dei Paschi e Consorzio agrario, ai quali si affiancava lafiorente industria dolciaria.
Questa era la situazione economico-istituzionale di Siena negli anni ante-cedenti l’entrata in guerra dell’Italia, prima che le drammatiche vicende delfronte interno sconvolgessero un territorio che non era pronto ad affrontareuna mobilitazione totale. L’idea stessa che un fenomeno, che si poneva al difuori della quotidianità senese, potesse divenire totalizzante per la vita di unindividuo appariva impossibile. Ben presto però gli uomini e le donne senesisi dovettero ricredere e con la Grande guerra Siena conobbe la modernità inmodo repentino e non graduale ma, soprattutto, prese coscienza delle atroci-tà che si celavano dietro a questo nuovo modo di combattere.In una simile prospettiva appare evidente quanto sia necessario studiareciò che fu il fronte interno per un’indagine speculativa che permetta di co-gliere appieno le varie sfaccettature del «secolo breve». Per quanto riguardala storia senese soffermarsi sull’età contemporanea, in particolar modo sulperiodo che va dal Risorgimento al fascismo, è imprescindibile per poterapprofondire aspetti della storia della città ancora poco noti. La Grandeguerra a Siena e nella sua provincia ha attirato l’attenzione di alcuni stu-diosi che hanno steso un quadro introduttivo del fenomeno favorendo cosìstudi più approfonditi su economia e politica.

Il quindicennio Giolittiano a Siena:

elementi di modernità e avvento del socialismo
 Alla vigilia della prima guerra mondiale anche sulla scena politica esociale senese emersero chiaramente i segnali di quel percorso verso lamodernizzazione che l’Italia, seppure tra luci ed ombre, aveva intrapre-so dall’inizio del Novecento e che in Giovanni Giolitti aveva avuto il suointerprete principale. Fu durante l’età giolittiana infatti che l’intensificarsidell’industrializzazione italiana introdusse sulla scena nazionale le organiz-zazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro con un ruolo più attivo e distintoe segnò l’emergere delle questioni connesse alla gestione sociale e politicadell’industria moderna e dei processi di trasformazione capitalistica dell’a-gricoltura, compreso il capitolo dei rapporti tra ceti imprenditoriali e classidirigenti dello Stato.Giolitti era stato tra i protagonisti della svolta liberale, avvenuta dopoil tentativo autoritario del 1898 e, guardando alle esperienze dei Paesi piùavanzati, aveva intuito che proprio al fine di difendere le istituzioni borghe-si occorreva andare oltre il semplicistico e consueto ricorso ai metodi re-pressivi per accentuare invece il carattere liberale dello Stato, inaugurandoe consolidando una prassi di confronto istituzionalizzato con le organiz-zazioni del movimento operaio e contadino. Entro questa prospettiva eglicercò di orientare i diversi settori della classe dirigente italiana, inducendolia concepire i rapporti con le classi lavoratrici secondo una concezione piùdinamica e moderna, basata sulla sostanziale accettazione delle organizza-zioni politiche e sindacali dei lavoratori e sulla messa in atto di una strategiadi riforme che, allargando le basi politiche e sociali dello Stato, consentissedi legare le classi popolari alle istituzioni borghesi e alla monarchia.Il decollo industriale italiano giunse a compimento alla fine della Primaguerra mondiale ma a Siena l’incipiente processo di industrializzazione,non aveva trovato quelle manifestazioni considerevoli che avevano interes-sato altre province della Toscana, traducendosi quasi esclusivamente comeespansione delle attività artigianali.
 Un elemento di ulteriore moderniz-zazione era stato introdotto dall’arrivo della ferrovia. Già nel 1849 a Sienaera stata istituita una grande officina ferroviaria, che fu una delle maggiori 
dell’Italia Centrale. Proprio i ferrovieri del resto si affermeranno in seguitocome «l’avanguardia del sindacalismo e del socialismo» tra la fine del-l’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Sul piano politico, infatti, durante l’età giolittiana, il fattore di maggio-re rilevanza era stato senza dubbio la definitiva affermazione e il conso-lidamento del socialismo: l’insediamento progressivo del partito politico,segnatamente il Partito socialista italiano e l’affermarsi del sindacalismoconfederale generale, con la Confederazione generale del Lavoro (CgdL),costituirono manifestazioni peculiari e caratterizzanti di quel cambiamen-to nel senso della modernità che, con l’alba del nuovo secolo, si rivelò po-tente veicolo di una progressiva e costante crescita dell’intervento popolarenella vita pubblica.Interagendo con i processi di mutamento in corso, il movimento socia-lista, era venuto emergendo tra i nuovi protagonisti della scena politica esociale nazionale, in sintonia con un’onda lunga di respiro europeo, costi-tuendosi come potente fattore di impulso di quei processi ormai irrever-sibili di sindacalizzazione e politicizzazione che tra la fine dell’Ottocentoe l’inizio del Novecento coinvolsero i ceti popolari, irradiandosi a parti-re dalle città ed espandendosi nelle campagne attraverso un rapido e nonsempre coerente succedersi di forme di organizzazione e di associazionifra cui le camere del lavoro e le federazioni di mestiere. Nel 1892 si eracostituito infatti a Genova il Partito socialista (con la denominazione diPartito dei lavoratori italiani), configurandosi come istanza centrale di col-legamento delle varie forme di associazione che ad esso aderirono (societàoperaie, circoli culturali, leghe, fasci, cooperative). Fu dunque sempre inquesti anni che si venne progressivamente delineando la complessiva di-mensione istituzionale, sindacale e politica del movimento socialista, e cheparallelamente venne formandosi una leva di quadri, di organizzatori, didirigenti che riuscirono a configurare la nuova forza socialista anche nellaforma di un partito moderno, nazionale, che scelse di associare alla lottaeconomica condotta dalle organizzazioni sindacali, quella politica, legalita-ria e parlamentare condotta all’interno delle istituzioni locali e nazionali enel confronto con esse.La diffusione del sindacalismo e del socialismo era avvenuta anche aSiena sostanzialmente in linea con la situazione nazionale e il socialismo,come primo partito organizzato, aveva tratto origine anche e per lo piùproprio dalla tradizione ideale e politica dalla quale si era diffuso in moltealtre città italiane, cioè quella di radice mazziniana, radicale e repubblicana,
passando attraverso la progressiva politicizzazione delle società di mutuosoccorso che l’acutizzarsi dello scontro sociale aveva predisposto ad espri-mere l’istanza della resistenza.
 Sul finire dell’Ottocento si consolidò infat-ti, accanto alle Società di mutuo soccorso che conservavano ancora alcunielementi di paternalismo e alle varie forme di cooperazione, un associazio-nismo «più rivendicativo e politicizzato» che in alcuni casi si espresse nellaforma della lega: la prima a costituirsi a Siena fu la Lega ferroviaria seneseche ebbe Cesare Pozzo come presidente. Nessuna organizzazione di Sienaaveva preso parte a Genova alla fondazione del Partito socialista nell’agostodel 1892, ma il Circolo Previdenza e Lavoro che esisteva a Siena dal 1886e che riuniva tendenze diverse (socialisti marxisti, repubblicani, radicali)aveva aderito al Partito socialista dei lavoratori italiani nel 1893, privandosiperò dei gruppi di matrice radicale e repubblicana.
Nei mesi successivi il Circolo aveva intensificato il lavoro di propagandasocialista, ampliando la distribuzione di fogli e opuscoli socialisti, organiz-zando conferenze private e passeggiate «di propaganda» non solo in cittàma anche nelle campagne (soprattutto di Chiusi e San Gimignano) dove gliincitamenti alla ribellione e all’auto emancipazione economica e moraledalla tutela padronale erano giunti anche fra i coloni, destando un certoallarme fra i proprietari terrieri, tanto che nel 1894, in fase di piena repres-sione crispina, quando il Circolo mutò il suo nome in Circolo socialista diSiena, fu sciolto di autorità.Nel 1895 si ricostituì a Siena un Circolo elettorale operaio, in vista dellascadenza elettorale di quell’anno, ma fu soprattutto nel 1896 che il sociali-smo senese si rafforzò con l’arrivo tra le sue fila di alcuni intellettuali tra iquali gli studenti di giurisprudenza Marcello Tozzi e Ugo Guido Mondolfoche ricoprì un ruolo significativo nella diffusione del marxismo e divennepresto un esponente di spicco del movimento socialista senese oltre chedel Partito socialista sul piano nazionale; con la crisi di fine secolo tuttaviaanche il Circolo elettorale operaio incappò nelle maglie della repressionee venne chiuso d’autorità, così come fu sciolta la sezione senese della Legaferrovieri e soppressi i giornali socialisti «La Martinella» e «La Riscossa»,che aveva Mondolfo come direttore. Il tentativo reazionario di fine secolo,abbattendosi sulla rete di istanze organizzative già espresse dal diffonder-si del socialismo, riuscì a disarticolare e scompaginare momentaneamentequella che già configurava la sua struttura organizzativa in embrione ma 
non riuscì a troncare quella esperienza che infatti, con la svolta liberale, siricostituì e si ampliò rapidamente. Anche nel senese il movimento sociali-sta riprese la sua marcia e nel gennaio del 1900 fu costituita l’Associazionesocialista senese, come continuazione del Circolo elettorale operaio scioltodue anni prima. Con le elezioni politiche del giugno successivo i sociali-sti colsero la loro prima importante affermazione nel Collegio di Siena,quando insieme all’Alleanza democratica costituirono l’Unione dei partitipopolari e in alleanza con la Sinistra parlamentare scelsero di appoggiare lacandidatura di Giulio Chiarugi, medico e docente universitario senese, cherisultò eletto al primo turno, sconfiggendo il ministeriale Stanislao Mocen-ni, deputato senese dal 1874.Nel nuovo clima politico tra il 1900 e il 1901 l’impennata degli scioperiin Italia fu straordinaria, coinvolgendo massicciamente soprattutto le cam-pagne e realizzando un fenomeno per certi versi unico in Europa; paralle-lamente il moltiplicarsi delle leghe di resistenza parve inarrestabile, si for-marono 724 leghe di lavoratori agricoli distribuite fra l’Emilia Romagna,la Lombardia, il Veneto e in misura minore nella Toscana, nel Lazio, nellaPuglia, in alcune zone della Sicilia. La crescita dell’organizzazione interessòdunque anche l’Italia centrale, anche se qui si trattò di un fenomeno circo-scritto a zone determinate e di dimensioni decisamente inferiori a quelleassunte nel Nord.
 Anche nella provincia senese, sotto l’influsso della propaganda socia-lista, i contadini si erano mobilitati, costituendo leghe di resistenza e av-viando azioni di rivendicazione in Valdichiana, a Chianciano a Sarteanoper ottenere il miglioramento dei contratti agrari.

Si formarono leghedi resistenza anche in città in diversi settori del lavoro (commessi di com-mercio, camerieri di caffè, lavoratori del legno, calzolai, fornai, conciato-ri di pelli, vetturini e carrettieri, salariati, spazzini comunali, infermieri,muratori, manovali) e nel settembre 1901, soprattutto per impulso dellasezione senese del Sindacato operai ferrovieri, si giunse alla costituzionedella Federazione delle leghe, con funzioni di coordinamento dell’interomovimento. La crescita e la strutturazione della dimensione organizzatadel movimento a livello sindacale e politico nel senese proseguì sostanzial-mente al passo con la situazione nazionale. I ferrovieri continuarono a svol-gere un ruolo trainante nella sindacalizzazione e nella politicizzazione dellaclasse lavoratrice senese, e ancora da questa categoria partì l’iniziativa che 

condusse nell’aprile del 1905, dopo la fine del primo sciopero ferroviarioche aveva fermato l’intero Paese, all’inaugurazione della Casa del Popolo diSiena, che costituì uno dei luoghi esemplari della «nuova sociabilità politicadi natura partitica» aprendo uno spazio che le classi lavoratrici e l’interacittadinanza avrebbero potuto utilizzare per iniziative anche culturali edu-cative e ricreative; mentre nell’estate del 1905, secondo quanto stabilito dalCongresso provinciale del PSI, svoltosi alla fine di giugno dello stesso anno,si costituì la Camera del Lavoro territoriale che si pose come organismoorizzontale di coordinamento dei lavoratori e contribuì alla politicizzazio-ne delle classi popolari, predisponendo in esse l’emergere di una capacità diiniziativa autonoma.Il discorso di inaugurazione della Casa del Popolo fu tenuto da QuirinoNofri, un socialista riformista vicino a Turati, originario di Pietrasanta, che ben presto si distinse sul piano nazionale per il suo impegno nel settorecooperativo e nell’organizzazione sindacale dei ferrovieri che lo portò adassumere incarichi di dirigenza.

 Nofri divenne ben presto una risorsa peril movimento operaio senese e il suo orientamento politico lontano daifacili estremismi, ne fece il perfetto interprete di una propensione caratteri-stica che il socialismo senese ripresentava con frequenza: quella alla ricercadell’alleanza elettorale con le forze democratiche, alla convergenza con glistrati più progressisti della borghesia, che lo aveva del resto già reso vincen-te all’inizio del secolo. Dopo la sconfitta socialista alle consultazioni parzialiamministrative del 1906, che registrarono tuttavia l’ingresso in Consigliocomunale del primo consigliere operaio, Antonio Ducci, falegname delleofficine ferroviarie, la vittoria elettorale tornò infatti alle elezioni politichedel 1909, che videro il PSI realizzare nuovamente l’unione con le altre for-ze democratiche, radicali e repubblicane a sostegno della candidatura diNofri, contrapposto a Falaschi, deputato uscente sostenuto dalle forze li- berali-moderate. Nofri si affermò al ballottaggio come deputato socialista,conquistando il collegio con l’appoggio delle forze popolari. Alle successive elezioni politiche del 1913 lo scontro politico risultò ra-dicalizzato su scala nazionale. Non soltanto i contrasti opponevano i di-versi schieramenti politici ma dissidi insanabili agitavano i diversi soggettidall’interno mentre i fenomeni dell’imperialismo e del nazionalismo, chefin dall’inizio del Novecento si erano nutriti di fermenti ideologico-cultura-li diversi, non solo antisocialisti, ma anche ostili al liberalismo borghese ealla democrazia, incombevano minacciosi a complicare gli scenari interna-zionali, svelando sempre più chiaramente il loro potenziale di esaltazione 

e di mobilitazione ideale di massa. La guerra di Libia fu una prima dimo-strazione di quanto il pericolo fosse concreto, riuscendo a suscitare umorifilo-tripolini anche all’interno di soggetti politici come il Partito Socialistache l’internazionalismo avrebbero dovuto mantenere ideologicamente im-mune dal contagio nazionalista.
 Al Congresso nazionale di Reggio Emiliadel PSI, svoltosi nei giorni 7-10 luglio del 1912, i riformisti persero il con-trollo del Partito a vantaggio degli intransigenti rivoluzionari e si consumòintanto una prima spaccatura: con 12.000 voti, a favore dell’O.d.g., presen-tato dall’intransigente rivoluzionario Mussolini, si decretò l’espulsione dalPSI di Bissolati, Bonomi, Cabrini per la visita compiuta, nel marzo del 1912,al Re scampato all’attentato dell’anarchico Antonio D’Alba, e di Podreccaper aver assunto posizioni «guerrafondaie».
Quirino Nofri aderì allora al nuovo Partito socialista riformista italianofondato da Bonomi, Bissolati, Cabrini e Podrecca, divenendo però bersa-glio di severe critiche da parte dei socialisti ufficiali. In città infatti la rotturaall’interno del Partito socialista era già avvenuta, e la causa era stato propriouno sciopero di protesta contro la campagna di Libia, proclamato per il 27settembre 1911 dalla Camera del Lavoro, che tuttavia si rivelò un fallimentoper il venire meno dei ferrovieri, che si attennero alle direttive del propriosindacato nazionale ma anche per la contrarietà espressa dalla sezione delPSI, dove i riformisti costituivano la maggioranza.
 Si costituirono alloradue distinte sezioni socialiste che si dotarono di due diversi organi di stam-pa: «La Lotta di classe» per i socialisti ufficiali e «Il Dovere socialista» per iriformisti. Così divisi, i socialisti affrontarono in un primo momento le ele-zioni politiche dell’ottobre del 1913, le prime che si tennero con il suffragiouniversale maschile. Nofri fu il candidato della Sezione senese del Partitosocialista riformista italiano e delle forze democratiche senesi ma divenne il bersaglio previlegiato delle critiche dei socialisti ufficiali che scelsero il lorocandidato in Filiberto Smorti, un operaio fiorentino. I candidati degli altrischieramenti furono l’avvocato Alfredo Bruchi, per i conservatori, EnricoFalaschi presentato dall’Unione Liberale e Antonio Boggiano per i cattolici.
l primo turno i risultati sancirono la vittoria di Bruchi (4.281 voti) an-che se nel Comune di Siena, dove il consenso era legato a posizioni modera-te, fu Nofri (2.780 voti) a risultare prevalente su Bruchi (1.761 voti,), dimo-strando quanto ancora incombesse la tutela paternalistica dei proprietari suimezzadri nelle campagne. Fu comunque a partire da quelle elezioni che nel-la provincia senese i socialisti di entrambi gli schieramenti intensificaronoil loro impegno propagandistico organizzativo nei confronti dei lavoratoridelle campagne e specialmente a favore dei mezzadri, non solo perché moltidi loro erano chiamati a votare per la prima volta ma anche in conseguen-za delle decisioni assunte dalla Federazione nazionale lavoratori della terra(FNLT) al Congresso, convocato a Bologna il 10 e l’11 gennaio del 1913, dal-la stessa Federazione, per discutere nello specifico la questione mezzadrile.La difficoltà principale che si era palesata agli organizzatori riformistidella FNLT sin dalla sua creazione nel 1901 a Bologna, era stata infatti quel-la di conciliare i diversi e spesso opposti interessi delle diverse categoriedei lavoratori agricoli (braccianti, mezzadri, piccoli proprietari, comparte-cipanti, affittuari ecc.) che si era proposta di rappresentare unitariamente.La creazione della solidarietà fra braccianti e mezzadri in particolare erastato l’obiettivo da sempre al centro dell’attenzione della FNLT e della suasegretaria Argentina Altobelli, militante socialista di orientamento rifor-mista, che sin dall’inizio del Novecento cercò di perseguirlo seppure conalterna fortuna e tra molte difficoltà.
 Proprio alla Altobelli si è ricondottoil merito di avere per certi aspetti precisato la linea teorica assunta dallaFederterra sulla mezzadria, in occasione proprio di quel Congresso bolo-gnese dedicato alla questione mezzadrile che si svolse alcuni mesi prima leconsultazioni politiche del 1913.
L’attenzione dimostrata da entrambe le sezioni socialiste verso i mezza-dri e i lavoratori della campagne circostanti la città non fu dunque casuale,  
fu anche il frutto di precise deliberazioni prese ai vertici degli organismi di-rigenti politici e sindacali. Solo per fare qualche esempio, a conferma delleintenzioni di entrambe le formazioni socialiste di conferire una maggioresistematicità alla propaganda specificamente rivolta alle campagne, appren-diamo ad esempio dalle pagine di «Il Dovere socialista» che Quirino Nofri,nel giugno, si recò a Vagliagli e parlò ai numerosi presenti, giunti ad ascol-tarlo, della riforma tributaria, delle pensioni operaie e degli infortuni sullavoro per i lavoratori dei campi; ancora nell’aprile tenne discorsi a Castel-nuovo Berardenga e, di fronte ad un pubblico composto prevalentementedi operai, parlò sui temi dell’attualità politica, il suffragio, il monopoliodella Assicurazioni e l’impresa libica; mentre nel pomeriggio dello stessogiorno, quando si recò a San Gusmè, si segnalava che ad ascoltarlo parlaredi riforma tributaria e di abolizione di dazio sul grano erano accorsi, oltreche gli abitanti del paese, anche un bel numero di contadini delle vicineville, tanto che una grande quantità di persone era stata costretta a rima-nere fuori dalla ampia sala della Filarmonica dove si svolgeva l’incontro.
 Pochi giorni dopo anche Filiberto Smorti, candidato dei socialisti ufficialisi recava a Castelnuovo.
 A sua volta, Vittorio Meoni, era candidato per laSezione socialista riformista di Colle, quando, in vista del secondo turnoelettorale, annunciò di rinunciare alla sua candidatura:
per evitare la divisione profonda che diverrebbe forse irreparabilmente insanabiledella classe operaia in due forze nemiche e contrastanti nell’azione economicadella classe in Colle, […], non mancò di richiamare l’attenzione sulla necessità dicondurre anche nel collegio di Colle un lavoro sistematico e persistente per la dif-fusione della coscienza politica anche nelle zone rurali dove i nostri vecchi metodidi propaganda non ottennero resultati notevoli, perché inadatti a paesi privi digrandi industrie e costituiti a regime economico artigianico e mezzadrile.

Sempre nell’ottobre, «Il Dovere socialista», organo del Partito socialistariformista italiano a Siena, dava conto di giri di propaganda compiuti da 

Nofri in altre frazioni nelle campagne, a Stigliano, Brenna, Sovicille; di uncomizio tenuto dal “compagno” Antonelli a Vagliagli che aveva ottenutogrande successo e di un’altra conferenza, svolta ancora dal “compagno”Vittorio Meoni, che a Basciano aveva parlato, suscitando vivo entusiasmo,davanti a un gran numero di contadini convenuti per la sagra parrocchia-le. L’anonimo articolista chiudeva infine il suo resoconto sulla propagandasvolta nella provincia con una significativa esortazione «Domani di nuovoin campagna, in tutte le frazioni, in tutti i comuni del collegio faremosentire la nostra voce».
 Anche il Comitato direttivo della Sezione socialista riformista di Siena,per l’occasione elettorale, aveva elaborato e diffuso nelle campagne un ma-nifesto dal titolo esplicito
 Lavoratori dei campi elettori!
 nel quale, esortando icontadini a votare per Nofri «candidato di tutti gli operai», ribadiva l’impe-gno preso dallo stesso Nofri a favore del miglioramento del patto colonico,la sua promessa di portare avanti in Parlamento l’estensione ai lavoratoridei campi della legge sugli infortuni sul lavoro e la predisposizione di unalegge per assicurare ai contadini invalidi e a quelli che avevano raggiuntouna tarda età una pensione a carico dei proprietari terrieri o dello Stato.
 Analoga attenzione verso la propaganda nelle campagne, come detto,ci fu da parte dei socialisti ufficiali. Anche in questo caso solo per portarealcuni esempi di questo intenso impegno propagandistico che coinvolse ein parte aveva già coinvolto i contadini: «La Lotta di Classe», il settimanaledella Sezione socialista senese del PSI, dava, tra l’altro, conto di un pubblicocomizio dei “compagni” Lido Caiani e Umberto Paglierini che si era svoltoa Chiusi il 23 aprile per iniziativa della locale Sezione socialista e del Circologiovanile ma anche di una Lega dei contadini che si era evidentemente giàcostituita;

 In un’altra corrispondenza da Ancaiano (Sovicille), redatta daIl Montagnolo, si dava notizia di un’adunanza svoltasi nella locale Sezione 

socialista, alla presenza di un buon numero di soci che aveva deliberatodi svolgere «della attiva propaganda instancabile fra i lavoratori di questamontagnola che è fuori della civiltà e progresso», auspicando nello specifi-co che presto potesse giungere a questo scopo anche la compagna AngelicaBalabanoff «per tenere una conferenza pubblica, tanto utile – si sottoli-neava – specie per le nostre compagne».
 Ancora nell’agosto si dava contodella ricostituzione della Sezione socialista a Castelnuovo Berardenga e diun comizio che il candidato Filiberto Smorti aveva tenuto nell’occasione«alla presenza di molti compagni e numerosi contadini».
 Al secondo turno il risultato elettorale risultò ribaltato: i socialisti uffi-ciali decisero di sostenere Nofri che ottenne anche l’appoggio di una partedei liberali e dei cattolici, oltre che della massoneria e si affermò ottenendo7915 voti contro i 5204 di Alfredo Bruchi.

 Le consultazioni politiche del1913 fecero dunque registrare a Siena una crescente mobilitazione politicapopolare, anche le cifre lo dimostrarono: al ballottaggio votò il 72% deglielettori contro il 69,5% del primo turno e contro una media nazionaleitaliana del 60,7%. L’apporto quantitativo del voto delle campagne, nelladeterminazione del risultato finale, si configurò di una certa rilevanza. Ilsempre più intenso e capillare lavoro di propaganda e organizzazione por-tato avanti dai socialisti si era rivelato un efficace veicolo di acculturazionepolitica e di educazione civica, che proprio a partire da questa occasioneelettorale si era dimostrata in grado di giungere fino agli strati tradizional-mente più refrattari e difficilmente raggiungibili delle classi popolari: inmaniera crescente i contadini e i mezzadri dimostravano di aver intrapresoil lungo e faticoso percorso verso la loro autoemancipazione economicae morale, manifestando i primi segnali di quella determinata volontà diprendere consapevolezza dei propri diritti e dei propri interessi che pote-va sottrarli finalmente alle tutele paternalistiche di borghesi e proprietariterrieri.La mobilitazione compatta dei lavoratori a Siena tornò in occasione deifatti luttuosi di Ancona, dove il 7 giugno 1914, nel corso di alcuni comiziantimilitaristi che erano stati indetti dai partiti popolari in occasione dellaFesta dello Statuto, i carabinieri avevano sparato sui manifestanti. In unclima di crescente indignazione popolare la Confederazione Generale del Lavoro proclamò uno sciopero generale nazionale di protesta che detteluogo ad un imponente movimento popolare e ai moti a carattere insur-rezionale della cosiddetta “settimana rossa”, con epicentro nelle Marche ein Romagna che furono seguiti anch’essi da una sanguinosa repressione daparte governativa.Lo sciopero generale si svolse a Siena in tutt’altra forma: i lavoratorisenesi aderirono compatti all’iniziativa e risposero all’appello delle organiz-zazioni socialiste cittadine ma lo sciopero si svolse compostamente e senzaincidenti, tanto da passare quasi inosservato. Aderirono anche i ferrovierisenesi che bloccarono il traffico ma solo per una giornata. Dalle pagine di«Il Dovere socialista» giungeva un’esortazione rivolta al Governo: era «or-mai giunto il tempo che si uniform[asse] al progressivo movimento socialedel suo popolo» che non doveva considerarsi «soltanto come carne da ma-cello per i Mauser arabi o per i moschetti italiani».

 La sera gli scioperantisi riunirono numerosi per ascoltare un comizio che si svolse sotto i porticidella Camera di Commercio durante il quale parlarono Meini a nome delCircolo socialista ufficiale, l’anarchico Boldrini, e lo studente universitarioRossi che si espresse a nome di molti suoi compagni di Università. Venneinfine approvato un Ordine del giorno che, rendendo onore alle vittime,esprimeva alta la protesta contro gli eccidi proletari, rinnovando la solida-rietà del proletariato senese qualora la Confederazione del Lavoro avesseimposto lo sciopero ad oltranza.

 In realtà la mobilitazione, avvenuta conun giorno di ritardo, si esaurì in una sola giornata e nonostante non avessedato luogo ad alcuna forma di insurrezione o di azione violenta, l’opinio-ne pubblica senese dovette ricavarne una qualche impressione di timore:quando infatti nello stesso mese di giugno del 1914 si tennero le elezioniamministrative per il rinnovo dell’intero consiglio comunale, le prime am-ministrative che si svolgevano con il suffragio quasi universale maschile, irisultati non furono affatto favorevoli agli schieramenti socialisti. A conten

dersi i voti dell’elettorato si presentarono quattro liste: quella dell’Unionedei Partiti democratici (il blocco popolare), composta dai Partiti radicale,repubblicano e socialista riformista, quella dei socialisti ufficiali, l’Unioneliberale e l’Associazione costituzionale monarchica.
 Il risultato fu favore-vole ai liberali conservatori dell’Associazione costituzionale monarchica;mentre sette liberali e un repubblicano risultarono eletti, nessun socialista,né ufficiale, né riformista entrò nel nuovo Consiglio comunale che, a causadello scoppio della guerra, rimase in carica fino al 1920. I socialisti ufficia-li colsero nella sconfitta soprattutto «la revanche del clericalismo armatocontro tutti i partiti liberali democratici», e anche i socialisti del Partitosocialista riformista italiano denunciarono l’azione nefasta dei comitati cle-ricali. Analizzando il voto, lamentarono soprattutto la sconfitta pesante su- bita nelle sezioni rurali dove i socialisti avevano racimolato scarsissimi votidi contro alle cospicue preferenze ottenute dai clericali che sembravanovanificare e azzerare quei progressi compiuti dalla propaganda socialistaappena un anno prima:
Nelle sezioni di campagna lo spettacolo era impressionate e nauseabondo – sileggeva su «Il Dovere socialista» – flotte di contadini erano condotti alle urne, in-drappellati in fattoria, preceduti dal fattore seguiti dal prete come greggi imbelli.Colla scheda in mano già pronta, votavano senza sapere né per chi né per cosa.Guai se avessero accettato le schede che fuori venivano distribuite dai rappresen-tanti dei diversi partiti. Quanto lavoro da fare in campagna, – non già per attrarrei contadini nell’orbita di uno o dell’altro partito, ma soltanto per dar loro la con-sapevolezza dell’atto che compiono votando. Strepitino i preti del loro successo!Ogni partito onesto si vergognerebbe di aver vinto con i loro metodi, di aver trion-fato con suffragi così inconsapevoli.
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E ancora i socialisti si rimproveravano l’apatia, di essersi fatti distrarredallo sterile dissidio di tendenze, dalle quisquiglie interne di partito mentreil risultato elettorale rivelava che occorreva «ricominciare da capo, ripren-dere la nostra propaganda tra le masse, destarci dal torpore al quale ci era-vamo abbandonati così volentieri», «acquistare la nozione esatta della realtàe correggere energicamente gli errori commessi». Di lì a poco le vicende di 

politica interna e locale sarebbero passate repentinamente in secondo pia-no. Gravi avvenimenti incombevano infatti sull’Europa: il 28 giugno 1914l’arciduca Francesco Ferdinando di Asburgo e la moglie, durante una visitaa Sarajevo, capitale della provincia della Bosnia, da poco annessa all’Imperoaustro-ungarico, vennero uccisi dal giovane studente Principe, affiliato adun’associazione irredentista serba. L’assassinio precipitò l’Europa nel bara-tro e tra luglio e agosto il temuto e ormai imminente scoppio del conflittosi impose come preoccupazione prioritaria all’attenzione di tutte le forzepolitiche.
Voci dal dibattito tra interventismo e neutralismo a Siena
Se la guerra di Libia aveva rappresentato la circostanza a lungo attesae cercata per suscitare anche nelle classi proletarie inclinazioni e sensibilitàverso quello spiritualismo nazionalistico che aveva segnato la morte del po-sitivismo marcando la svolta ideologica del nuovo secolo, il profilarsi all’o-rizzonte dello scoppio della guerra all’interno dei paesi coinvolti, giunsead innalzare di livello quella esaltazione: il nazionalismo e l’imperialismodimostrarono di essere diventati grandi ideologie di massa in grado di ri-definire la fisionomia delle società, di sconvolgere collocazioni che sem- bravano consolidate, ma anche di unire e cementare fasce sociali diverse,fino ad allora divise da interessi di classe e in lotta di fronte alle questionidella politica interna. Quando la guerra arrivò lo scontro politico già radi-calizzato si accese ulteriormente nel ridefinirsi degli opposti schieramenti:da una parte si collocarono gli “interventisti” dall’altra i “neutralisti” che siaffrontarono senza possibilità di trovare intese. Anche a Siena, come avvenne sul piano nazionale, l’imminente scoppiodel conflitto condusse a diverse spaccature e scissioni nei differenti soggetti epartiti politici, disegnando due gruppi estremamente eterogenei: da un latoi radicali, gli aderenti al Partito socialista riformista italiano e una parte deiliberali si mostravano favorevoli alla guerra contro l’Austria, animati da aspi-razioni irredentiste e da antichi e al tempo stesso istintivi rancori, mentre inazionalisti e i clericali propendevano per l’intervento a fianco dell’Austria. Icattolici che avevano la loro voce nel «Popolo di Siena» indicavano la giustifi-cazione del loro interventismo sostenendo che tutti i drammi e le stragi chela guerra poteva portare erano permesse «se non volute da Dio» «per ven-dicarsi dell’umanità» che lo negava e lo discuteva.

 Sull’altro fronte, quello del neutralismo, si collocarono oltre ai liberali giolittiani, e a una parte deicattolici, i socialisti che, in linea con le indicazioni degli organismi dirigentidel loro partito, mantennero la fedeltà ai valori dell’internazionalismo pro-letario, schierandosi per la neutralità e condannando la guerra, nella qualeindividuavano il portato della degenerazione imperialista del capitalismo in-ternazionale che esigeva lo scontro tra gli interessi economici delle varie bor-ghesie nazionali che avrebbe portato solo lutti e rovine alle classi proletarie.Con l’inizio delle ostilità i liberali che avevano il loro organo di stampane «Il Libero cittadino», attraverso la firma illustre di Armando Sapori, sipreoccuparono subito di sottolineare che l’Austria non era stata aggredita,ma aveva aggredito, per cui il trattato della Triplice Alleanza non imponevaall’Italia doveri di aiuto verso l’alleata, tanto più che l’Italia non era neppurestata avvertita dell’invio dell’ultimatum alla Serbia che quindi non era statoconcordato fra le due potenze. Sapori si diceva quasi sicuro che le compli-cazioni che sarebbero nate dall’aggressione austriaca avrebbero condotto«fino al più immane conflitto europeo» e l’Italia doveva in questa fase soloassistere vigilante al conflitto che stava per svolgersi, vigilante «con le armial piede», pronta ad intervenire e a rompere la neutralità senza compro-mettere il decoro nazionale e magari ad ottenere vantaggi dalla crisi chel’Europa stava attraversando. Chiudeva il suo articolo con un appello agliItaliani, indicando che il dovere del popolo in questa momento «il più gran-de che l’Europa attraversava da trenta anni» era quello di mantenersi unito,compatto, concorde per assicurare al Governo la tranquillità opportuna pergiudicare gli avvenimenti internazionali, trovare la forza necessaria per im-porsi ad essi e volgerli a profitto dell’Italia; ammoniva infine

Che il popolo d’Italia si ricordi e l’appello è rivolto in specie ai partiti dell’or-dine che dovranno far prevalere la loro preponderanza numerica e di intelligenzaalle mene antipatriottiche dei sovversivi – che nel momento in cui la patria ha bisogno dei suoi figli una incertezza è una viltà, ogni discordia un tradimento.
L’appello al sentimento patriottico, alla salvaguardia dell’onore nazio-nale nel richiamo alla concordia del popolo, all’unità del volere, alla com-pattezza che evitava la viltà e il tradimento, rinviava già al senso di discipli-na e di gerarchia di marca militaresca. Nello stesso numero del giornale, inrisposta ad un articolo di Mussolini, che dalle pagine dell’«Avanti!» avevaintimato che l’Italia non avrebbe dovuto scendere in campo anche se lenecessità lo avessero imposto, si censurava «la nuova prova di antipatriot
tismo», l’ennesima di una serie infinita date dai socialisti italiani fino ad al-lora, che nella difficile congiuntura attraversata dall’Europa, animati dallo«spirito settario degli sfruttatori del momento» non si curavano di recaredanno agli «interessi nazionali».
«Il Libero cittadino», ben presto saldamente attestato su posizioni favo-revoli all’intervento in guerra dell’Italia contro gli Imperi centrali, non per-deva occasione di dar conto di manifestazioni a favore dell’intervento eseguiva con compiacimento le rapide evoluzioni possibiliste compiute daMussolini che progressivamente attenuava la formula della neutralità asso-luta, proclamata dai socialisti, attribuendole quando un semplice valore diuna «dichiarazione di principio», quando un significato di «opposizione idea-le alla guerra», dirigendosi così a grandi passi verso la svolta interventista:
Questa formula della neutralità assoluta l’accettiamo – si leggeva sulle paginedel «Libero cittadino», a commento delle precisazioni e dei distinguo di Musso-lini – E l’accettiamo anche perché ammettendo essa come cosa possibile quelladi cedere alla necessità della guerra, dimostra a luce meridiana, come la formuladella lotta di classe sia di gran lunga sorpassata da quella che è lotta delle razze edelle nazioni che nei loro prevalenti interessi e nelle loro ancor più prevalenti forzeideali, tutte le abbraccia in un fascio saldo ed umano.
Il 13 di marzo, con un articolo in prima pagina «Il Libero cittadino» an-nunciava che l’ora dell’intervento dell’Italia era giunta, «i destini dell’Italiasi erano maturati», «i sentimenti erano mutati e sul consenso unanime delpaese l’on. Salandra [poteva] ben assicurare quanto (aveva) già promessocon fermo intento, che l’Italia uscirà dal conflitto europeo più grande e piùforte».
 Il 29 maggio infine annunciava la votazione parlamentare che con407 voti contro 74 aveva concesso i pieni poteri al Governo Salandra peravviare la guerra di redenzione;
 censurava infine i 74 «nemici di dentro»,«rinnegatori della patria» che qualche giorno dopo in un clima generale diormai “conclamata caccia alle streghe” venivano definiti «esseri vili» che siinvitava senza indugi a sorvegliare e nel caso a denunciare per impedire chefossero «nocivi» nel presente momento.

Dall’altra  parte favorevole all’intervento a fianco dell’Intesa vi erano poi igruppi e i partiti della sinistra democratica: i repubblicani che custodivano 

la tradizione mazziniana e garibaldina, gli irredentisti, i radicali e il PartitoSocialista Riformista vicini alla Francia. Questo fronte si avvaleva dell’ade-sione di personalità autorevoli come Salvemini e Bissolati che, decisamenteestranei ai deliri di esaltata glorificazione del massacro che stava compien-dosi, giustificavano la necessità di entrare in guerra con argomentazionimeno emotive, e spirito mazziniano, individuandovi l’ultima guerra risor-gimentale con la quale si sarebbero liberate le terre irredente, portandoa compimento l’Unità d’Italia. «La Gazzetta» era l’organo di stampa deiradicali senesi che presto spronò ad uscire dalla neutralità per fare «guerraall’aquila bicipite» per Trento e Trieste.
I riformisti di «Il Dovere socialista» in un primo momento condiviserol’iniziale scelta neutrale del Governo italiano e si astennero dal pronunciar-si convintamente a favore dell’intervento. sebbene già in occasione dellaguerra di Libia avessero accantonato le idealità pacifiste che riconducevanoai valori dell’internazionalismo proletario. Già il 9 agosto si constatava sulgiornale ancora una volta «il crollo della grande illusione dell’Internaziona-le proletaria contro la guerra e per la pace», che, nel precipitare degli eventitra la fine di luglio e i primi di agosto, aveva condotto i vari partiti socialistiaderenti alla II Internazionale, pur con motivazione e in situazioni diverse,e sebbene con prese di distanze da parte di singole ma importanti persona-lità, a fare causa comune con i governi e le borghesie dei loro Paesi. Sullepagine di «Il Dovere socialista», i socialisti riformisti sostenevano che per«fare dell’internazionalismo in pro della pace» occorreva non essere soli,non per questo tuttavia si dichiaravano «meno amanti delle idealità dellapace, della giustizia, della civiltà» e «nemici della guerra che le offende, lediminuisce quando, sia pure temporaneamente, non le distrugge».Per questo plaudevano entusiasticamente e incondizionatamente allascelta in un primo tempo neutralista del governo, che interpretando al me-glio «le condizioni e i bisogni del popolo» faceva ogni sforzo
per limitare il campo di azione della guerra tenendosi in pari tempo vigile e pron-to ad ogni evento, affinché se, stando così alla finestra qualche pallottola lo rag-giunga, possa restituirla energicamente a chi l’avesse tirata.
 A tal fine già – si assicurava «il proletariato e i socialisti d’Italia» era-no «a disposizione del Governo del loro paese».

 Nello stesso numero delgiornale i socialisti riformisti annunciarono, con un articolo listato a lutto, 

la notizia dell’assassinio di Jean Jaurès, che era stato ucciso il 31 luglio daun nazionalista, dopo che su «L’Humanité», l’organo ufficiale del Partitosocialista francese, aveva condannato la guerra appena scoppiata. In lui sisalutava «l’apostolo e il martire della pace» caduto vittima dell’odio accu-mulato contro di lui dal nazionalismo francese che lo aveva additato come«un traditore della Patria venduto alla Germania».Tra la fine di agosto e le prime settimane di settembre dalle pagine di«Il Dovere socialista» giunse la richiesta al governo di denunciare il Trattatodella Triplice, insieme al dichiarato proposito di battaglia che li univa aisocialisti ufficiali contro «gli affamatori del popolo e delle classi lavoratrici,gli sciacalli», che si accaparravano i generi alimentari per innalzare i prezzied esercitare un «indegno lucro sui generi di prima necessità».
 I socialisti ufficiali erano però anche il bersaglio delle critiche dei socialisti riformisti,per il loro arroccamento su una posizione di pregiudiziale «intransigenzache non voleva avere contatti impuri con nessuno e non voleva collaborarecon chicchessia» e per «l’altissimo disdegno» solo di maniera, che procla-mavano contro la guerra, ma tra evidenti incertezze e contraddizioni, solo«per salvare i principi» quando in realtà, si affermava, attendevano l’ordinedi mobilitazione con pacata rassegnazione e auspicando sotto sotto che sicompisse «l’iniqua fatalità».
Sempre sulle pagine di «Il Dovere socialista», affermando la necessitàimprescindibile di tutelare gli interessi politici ed economici italiani, i so-cialisti riformisti annunciarono infine nel novembre 1914 la volontà di im-pegnarsi convintamente nello svolgimento di un’azione di opposizione allaneutralità al fine di liberare le terre irredente soggette all’Austria. Dichia-rarono dunque il loro proposito di agire per concorrere alla vittoria dellaTriplice Intesa in quanto «alleanza che era espressione di una tendenza de-mocratica impegnata a contrastare e combattere una tendenza militarista eautoritaria».
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 Anche Vittorio Meoni, che già aveva lasciato il PSI nel 1912,e al quale nel gennaio del 1915 venne affidata la direzione del giornale so-cialista riformista senese, sposò la causa dell’interventismo democratico edell’ingresso nel conflitto europeo per «liberare l’Italia dalle catene dellaTriplice Alleanza», abbandonando le ragioni di quell’internazionalismo so-cialista e di quel pacifismo che a lungo aveva sostenuto scrivendo su «La 

Martinella», organo del socialismo colligiano, che dal 1892 aveva aderito alsocialismo, divenendo nel 1893 l’organo ufficiale regionale della neo costi-tuita “Sezione Socialista Toscana”.
I socialisti riformisti come i socialisti ufficiali condussero decisi la loro battaglia contro il rincaro, artificiosamente provocato dalla speculazione,dei beni di prima necessità e prima di tutto del grano e quindi del pane. Inmerito non mancarono di rilevare gli errori del Governo che, a loro dire,avrebbe dovuto tenere una condotta «più fattiva, più ardita, più pronta», efronteggiare il problema dell’approvvigionamento dei magazzini militaridel grano non acquistando sul mercato interno con tre lire di aumentodei prezzi allora correnti, incoraggiando al rialzo gli speculatori nostranimentre più saggiamente avrebbe allora potuto e dovuto acquistare dall’e-stero». Sul piano locale invocarono un intervento del Monte dei Paschi chepermettesse al Comune di aprire uno spaccio di pane ad un prezzo relati-vamente basso, soprattutto per le classi di cittadini più bisognose di aiuto.
Proprio pochi giorni dopo a Siena si svolse uno sciopero generale controil rincaro esorbitante del prezzo del pane, si tennero un comizio e alcunedimostrazioni per chiedere pane a buon mercato, guidate dall’anarchico Gu-glielmo Boldrini. Vi presero parte anche alcuni socialisti rivoluzionari, oltre aisocialisti ufficiali che tuttavia furono contestati dai più facinorosi. I negozi egli alberghi furono chiusi, anche per imposizione degli scioperanti, che agita-rono la vita della città per due giorni e non mancarono incidenti gravi comel’accoltellamento di un tenente dei carabinieri. Questi accadimenti furonodeplorati forse con un po’ di esagerazione dai socialisti riformisti che indivi-duarono le responsabilità della Prefettura e dell’amministrazione comunaleche, a loro dire, avevano tenuto un atteggiamento troppo morbido nei con-fronti degli agitatori, consentendo loro di mettere a ferro e a fuoco la città.
Col procedere degli eventi «Il Dovere socialista» manifestò una crescen-te impazienza, contestando le titubanze del Governo Salandra che non sidecideva ad agire; il giornale socialista riformista plaudeva ma mostrava
viva incredulità e «sbalordimento» nel constatare che persino «Il Popolo» diSiena, il giornale dei cattolici, «della Curia arcivescovile», avesse pubblicato un articolo dal titolo La
 Guerra all’Austria. Se occorre
 dove poteva leggersi «sel’Austria si opponesse più oltre ai legittimi interessi dell’Italia, bisognerebbepure costringervela con la forza».
 Il 15 maggio «Il Dovere socialista» cen-surava infine il comportamento di Giolitti che proprio ai primi di maggioin Parlamento, ignaro della conclusione già avvenuta del Patto di Londra,si era espresso per il mantenimento della neutralità e la continuazione delletrattative con l’Austria, per ottenere i territori oggetto di rivendicazione,riscuotendo manifestazioni di consenso da più di trecento deputati che ave-vano indotto così il capo del Governo Salandra alle dimissioni.L’articolista, che si firmava A. M., denunciava «l’intrigo volgare» chetrionfando «sulla rettitudine» si era ordito a sostegno di una tesi di «neutra-lismo fondato sul più triste compromesso».
 Il re respinse le dimissioni diSalandra, e il clima di rumorosa propaganda delle «radiose giornate» feceda sfondo, il 20 maggio del 1915, alla votazione della Camera dei deputatiche, con il solo voto contrario dei socialisti, accordò la concessione dei pie-ni poteri al Governo. Il 23 maggio seguì la dichiarazione di guerra dell’Italiaall’Austria. Nofri sulle pagine di «Il Dovere socialista» scrisse:
Ed ecco finalmente troncata l’attesa angosciosa collo spezzarsi delle esitazioni,col cadere delle maschere diplomatiche che parevano geni tutelari, col fugarsi del-le viltà elettorali che parevano idealità, e collo affermarsi in luogo di tutto ciò unpatriottismo che è la difesa dell’integrità e della grandezza della nazione accompa-gnata al rispetto e al ritorno di ogni virtù civile ed umana. Il dado è tratto! Anche l’I-talia, nell’Europa, ove ormai tutti i paesi combattono per la propria esistenza, faràla
sua
 guerra per conquistare le proprie difese naturali con il completamento dellasua unità nazionale e per contribuire a fiaccare la prepotenza bestiale di chi scatenòquesta immane carneficina che dura da dieci mesi, per libidine di dominio.

Sull’opposto versante infine, a difendere con convinzione e impegnocoerente le ragioni del neutralismo rimasero a Siena i socialisti ufficiali di«La Lotta di classe» e quelli di «La Martinella» della provincia senese. Agliinizi di agosto del 1914, non appena giunse notizia dell’apertura del con-flitto, la Direzione del PSI aveva deciso la linea di opposizione risoluta allaguerra e per il mantenimento della neutralità dell’Italia nel conflitto «scate-nato dalle cupidigie balcaniche dell’imperialismo austroungarico, spalleg

giato dal militarismo germanico». Negli stessi giorni il Consiglio direttivodella CGdL si riunì, convocato d’urgenza dal Comitato esecutivo, e ribadì ladichiarazione espressa dalla Direzione del Partito.
 I socialisti senesi accol-sero con sollievo l’iniziale decisione del governo di dichiarare la neutralità,anche loro, con un articolo listato a lutto, riportarono la notizia dell’assas-sinio di Jean Jaurès, celebrando in lui «uno dei migliori pionieri dell’ideanostra».
 Nei primi giorni di agosto la Sezione socialista senese organizzòalla Casa del Popolo un grande comizio di protesta contro la contro la guer-ra e contro il minacciato aumento dei generi di prima necessità, al qualeaderì anche la Sezione riformista, il Fascio repubblicano senese, il Circologiovanile socialista e al quale intervenne Arturo Vella segretario della Di-rezione del PSI per difendere le ragioni del neutralismo e dell’opposizionealla guerra.
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Influì anche il cedimento alle ragioni della guerra di tutti o quasi i Par-titi dell’Internazionale, persino della Socialdemocrazia tedesca che da sem-pre aveva svolto un ruolo di guida morale per il socialismo italiano ma piùin generale per tutto quello europeo, e poi dei socialisti belgi, il cui
leader
Vandervelde, che era anche presidente del Bureau socialiste international,era entrato a far parte del governo. Tutto questo giunse a togliere slancio efiducia all’azione socialista, anche perché gli italiani erano rimasti insiemeagli svizzeri e pochi altri, i soli a difendere, con la loro scelta neutralista e laloro condanna alla guerra, le ragioni dell’internazionalismo proletario chesubito tentarono comunque di rilanciare, stabilendo di incontrarsi a Luga-no, intendendo concordare una linea di azione comune, per difendere laneutralità e «riannodare i rapporti dei due partiti più importanti d’Europache ancora – si scriveva – possono esplicare ed esplicano completamenteattività socialista». 

Si leggeva su «La Lotta di classe».

 La guerra è un portato del regime capitalistico e quindi da combattersi senzatregua, possiamo sì, avere simpatia per quella nazione che la guerra deve subire,ma non più che la semplice simpatia, poiché se un partito che si dice rivoluzionarioconcedesse la sua approvazione esplicita alla guerra, non solo rinnegherebbe il suopassato e il suo avvenire, ma avvalorerebbe, quello che la borghesia va propalan-do, che cioè la lotta di classe viene assorbita ed annullata dall’avanzarsi dello spirito di nazionalità, quindi liquidazione completa dell’internazionalismo proletario, senza contare poi quello che la borghesia imporrebbe dalle masse all’indomanidi una guerra da queste approvata, nuove spese militari invece che riduzione.
I socialisti senesi non abbandonarono le loro posizioni di condanna delmilitarismo e di difesa dei temi del neutralismo anche quando l’ondata diun patriottismo aggressivo inteso in senso nazionalista pareva travolgerli etra le loro file si registravano importanti defezioni: tra ottobre e novembregiunse anche quella del direttore dell’«Avanti!», Mussolini, che abbracciò leragioni dell’interventismo democratico rimangiandosi i vibranti appelli alneutralismo lanciati dalle pagine del giornale fino a poco tempo prima. Perquesto la Direzione del PSI, il 30 novembre, ratificò la sua espulsione perindegnità politica e morale:
La traiettoria lieve e luminosa che il Mussolini ha tracciata nel cielo delle no-stre idealità – si leggeva su «La Lotta di Classe» – non turba la fedeltà assoluta cheabbiamo giurato al Partito Socialista che in questo momento ha bisogno di bracciae di cuori. […] Niente finimondo. Gli uomini passano e la fede rimane immutata.

In questa situazione di interventismo montante, che nella fragilità enelle divisioni del fronte neutralista, oltre che nell’appoggio del Gover-no trovava i suoi migliori alleati, i socialisti il 21 febbraio del 1915 furonoancora una volta capaci di organizzare una grande manifestazione per lapace che si verificò contemporaneamente in molte città d’Italia. Lo stessogiorno venne emessa un’ordinanza del presidente del Consiglio Salandrache proibiva i comizi pubblici e che trovò in seguito un’applicazione sem-pre unilaterale. A denunciare questa sospensione del diritto di riunione sipronunciarono compatti sia i socialisti riformisti che i socialisti ufficiali,memori delle battaglie di fine secolo che sui banchi del Parlamento avevavisto i socialisti custodi delle libertà statutarie, difese dall’attacco di alcunisettori della classe liberale, dimenticati dai postulati principali della lorostessa tradizione ideale. Sulle pagine di «Il Dovere socialista» si condannòdunque senza riserve l’ordinanza ministeriale dell’Onorevole Salandra cheaveva «soppresso il diritto di riunione cancellando con un tratto di pennauna guarentigia statutaria» Su «La Lotta di classe» Marino Magnani incitavaa violare il provvedimento che definiva arbitrario:  

Ah no davvero! Noi non possiamo e non vogliamo lasciare immutato un prov-vedimento ministeriale di coercizione sociale, di vendetta di classe, di perfidie eanche di delitti legali. Siamo i primi a predicarne la violazione più completa eassoluta. Non si toglie arbitrariamente – a mo’ di sfida – una libertà che ci vennegarantita dalle leggi statutarie. Il popolo ha il pieno diritto di radunarsi e di comi-ziare in qualunque periodo e in qualsiasi posizione trovasi la nazione.
Con il passare dei giorni, quando lo scontro fra interventisti e neutra-listi venne sempre più radicalizzandosi, si registrarono i primi scontri fisicitra gruppi di interventisti e neutralisti a Siena con gli opposti schieramentiche si fronteggiarono tra piazza Salimbeni e piazza Tolomei
e un tricolo-re che venne stracciato.
 Il 22 di maggio «La Lotta di classe» avvisò i suoilettori che stava per consumarsi «il tremendo inganno nazionale preparatocon indiscutibile arte da tutta la stampa borghese».
 Fino all’ultimo artico-lo i socialisti senesi avevano sostenuto che la guerra avrebbe potuto essereevitata con un’opera di mediazione veramente neutrale. Sullo stesso nume-ro del giornale del 22 di maggio si riportava il discorso che Filippo Turati anome del Gruppo parlamentare socialista aveva pronunciato in Parlamentoil 20 maggio, nel corso della seduta che a larga maggioranza aveva votato ipieni poteri al Governo:
È opportuno – vi si leggeva – che vi sia qualcuno che ripeta oggi, e qui, quelloche disse ieri ed avant’ieri e sempre qui e dappertutto; che rivendichi il diritto eil dovere di amare e di difendere la patria secondo i soli dettami della propria co-scienza, non secondo le intimazioni che vengono da dietro la siepe. È opportuno,o signori del Governo che vi sia qualcuno che alla vostra domanda di pieni poteriper la guerra risponda semplicemente, ma recisamente: NO!
Il 10 luglio «La Lotta di classe» annunciò la cessazione delle pubblicazioneper la chiamata sotto le armi di collaboratori e amici che impediva di potercontinuare ininterrottamente a pubblicare il giornale.

 Anche il «Dovere socialista» aveva cessato le pubblicazioni il 26 giugno 1915 per lo stesso motivo.I socialisti si attennero fedelmente alle parole d’ordine «né aderire né sabo-tare» rivolte dal segretario socialista Costantino Lazzari a intervento ormai 

deciso, così come seguirono le direttive di Filippo Turati che aveva indicato ildovere per i socialisti, di compiere «un’opera di Croce Rossa di civiltà nel sen-so più vasto del vocabolo», si impegnarono a portare avanti all’interno delpaese «un’attività di collaborazione non per la guerra ma contro i suoi mali»,mentre qualche mese prima già avevano aderito alle iniziative che nella mag-gior parte delle città avevano portato alla costituzione di Comitati civici perpremunirsi in caso di guerra e predisporre l’organizzazione dei principali ser-vizi utili «alla prosecuzione della vita di tutto l’organismo civile».
 Economia, aricoltura e istituzioni durante il conflitto. Il problema della sussisten- za alimentare
Il conflitto investì ogni singolo angolo della penisola e, in questa pro-spettiva, la «questione agraria e alimentare» assume una rilevanza signifi-cativa per poter delineare una storia sociale di quegli anni. Il problema delcibo diveniva un nodo cruciale per lo Stato al fine di evitare una catastrofeumanitaria di portata inimmaginabile. L’agricoltura italiana, che aveva ap-pena avviato un primo processo di modernizzazione e di industrializza-zione, doveva far fronte non solo al fabbisogno locale ma anche a quellodell’esercito. Questo portò il sistema agrario nazionale a sostenere un gran-de sforzo per le sue limitate capacità, considerando che «l’Italia agricola»non poteva competere con gli altri grandi Stati nazionali europei coinvoltinel conflitto. Per tali difficoltà gli anni della guerra furono molto duri inparticolar modo per le campagne che finirono per essere piegate fino allostremo delle forze per poter garantire la sussistenza dei militari e della po-polazione. Era un ribaltamento economico improvviso se consideriamoche l’area senese aveva vissuto in quel periodo una stagione felice segnatada un clima di prospero progesso del mondo rurale.
 Questo slancio, comespiega Bertini, aveva coinvolto anche l’area della Maremma che era in cercadi un’emancipazione dal potente Consorzio agrario di Siena.Nonostante questo clima però, già a partire dai primi del Novecento,il
modus
 di governo fisiocratico padronale aveva iniziato ad avere qualcheproblema, se già nel 1902 uno sciopero mezzadrile (quasi 1.000 persone),partendo dal Sud della provincia, si era esteso fino a Monteriggioni.

 I socialisti avevano cercato di cavalcare la protesta giocando sul fatto che i mez-zadri erano, da secoli, la parte perdente di un antiquato patto societario.I possidenti della provincia però avevano saputo sfruttare lo sciopero perinnovare alcuni aspetti del contratto che, pur mantenendosi arcaico nelleprocedure, ne era uscito rinnovato nelle tecniche ponendosi in linea cosìcon le nuove tendenze economiche dell’area. Come ben ha detto Bertini viera stato un cambio significativo all’interno del mondo mezzadrile, per cuisi era passati dalla chiusura del rapporto padrone-colono ad uno maggior-mente aperto al dialogo con tutte le realtà economiche provinciali.

 Erastato in quel periodo che si era iniziata a delineare, almeno in forma pri-mordiale, l’idea di diversi luoghi economici gravitanti come pianeti attornoal Consorzio agrario, fulcro e padrone dell’economia agraria di quello cheera stato un tempo l’antico stato senese. In questo clima la provincia senesesi affacciò al conflitto e molto probabilmente questa rinnovata “pax produt-tiva” tra le parti può essere individuata come uno degli elementi che permi-sero il funzionamento e la sopravvivenza dell’economia agraria senese che,nonostante il decollo industriale, continuava ad essere il settore trainante:
I󰁮󰁤󰁵󰁳󰁴󰁲󰁩󰁥 󰁰󰁲󰁯󰁶󰁩󰁮󰁣󰁩󰁡 󰁤󰁩 S󰁩󰁥󰁮󰁡 1911
Graf. 1. Elaborazione personale da:
Censimento deli opifici e delle imprese industriali
, Roma,Tip. Berterio, 1914, pp. 103-106.
 Per uno studio approfondito su proprietà fondiaria e sviluppo
 Proprietà fondiaria e modernizzazione
, Milano, Franco Angeli, 1994.

Come si può notare dal grafico 1 gli opifici presenti nella provincia era-no molto pochi e la maggior parte era legata comunque al settore agricolo.In quest’analisi si coglie anche l’importanza del settore minerario per la 

provincia assieme all’assenza delle grandi industrie che trainavano il settorein Italia. Ciò viene confermato anche dalla tabella 1 dove viene analizzatala distribuzione territoriale degli opifici (Ratio1) e un’analisi sulla concen-trazione industriale per abitante. Analizzando la tabella 2, interessante peri dettagli sulla composizione degli addetti, possiamo vedere che la maggiorparte degli occupati però era impiegata nei settori metallurgico e minera-rio che necessitavano di maggiore manodopera rispetto a quelle collegateal settore agricolo. Un ulteriore aspetto da sottolineare la presenza di duedonne a capo di industrie tessili e una di un’industria mineraria.Quando il governo decise di entrare in guerra l’economia senese si basavaesclusivamente sull’agricoltura e fu proprio in questo settore che le istituzionidovettero concentrare tutto il loro operato per cercare di impedire che i disor-dini sociali prendessero il sopravvento, facendo così precipitare la produzioneche avrebbe portato la provincia ad una grave crisi economica e alimentare.Le autorità si trovarono a dover affrontare continue sollevazioni popo-lari e mantenere l’ordine pubblico era sempre molto difficile. La città si tro-vò più volte a dover sopportare forti crescite esponenziali del prezzo dei ge-neri alimentari come la carne e lo zucchero, per non parlare del pane che, ben presto, iniziò a non essere sufficiente alle richieste della popolazione.La maggior parte dei disordini cittadini, già a partire dal 1914, si eranoverificati per l’aumento del costo del grano. Il sindaco Livio Socini si era im-pegnato nell’acquisto di 2.500 quintali di grano in modo da creare così unariserva da cui si potesse attingere per distribuire le razioni tra la popolazione.Inoltre fu indicato per il pane un prezzo di 38 centesimi al kg. Le sommosseguidate da Boldrini portarono ad un abbassamento del costo del pane a 36centesimi, nonostante i facinorosi chiedessero di scendere fino a 30 centesimi.Le criticità della guerra fecero sì che si producesse esclusivamente panenero, che poteva essere venduto anche raffermo e prodotto con altre tipo-logie di farine. Questa tipologia di pane non era particolarmente graditaperché di difficile digestione. La vendita dei prodotti alimentari era effet-tuata principalmente dal Comune che applicava dei prezzi calmierati:
È una vera vergogna! Il pane, che si vende da un po’ di tempo a questa parte, èqualche cosa di orribile, e non sappiamo comprendere come mai la Commissione Annonaria, incaricata della vigilanza della fabbricazione, non abbia sentito il dove-re di denunciare quei fornai che anziché il pane, danno a mangiare ai consumatoriuna vera e propria porcheria. Abbiamo veduto del pane che quando è raffreddato,ha la mollica simile ad una pasta. Toccandola con le dita vi si appiccica come lacolla ed ha un sapore dolciastro, nauseante anche ai profani.

La difficoltà maggiore a cui le istituzioni dovevano far fronte era quella
relativa all’invio di merci e generi alimentari per il fabbisogno dell’esercito.Questo finiva per impoverire sensibilmente un territorio che, incentratoprevalentemente attorno al sistema mezzadrile, dovette sopportare sforzi ingenti per garantire il funzionamento dell’economia.

 Il prelevamen-to forzato di prodotti come il fieno, che serviva per gli animali da lavoro,mise in crisi il ciclo produttivo alimentando nelle campagne forti disordini. Anche la vendita delle carni, quelle che non venivano inviate al fronte, furidotta a solo pochi giorni a settimana. Il grafico 2 spiega molto bene lasituazione. Il prezzo del grano crebbe in modo esponenziale tra il 1914 e il1915 e questo portò la commissione provinciale ad intervenire per regolareil prezzo del cereale. Difficoltoso fu individuare politiche che fossero appli-cate in tutti i comuni della provincia per evitare prezzi più bassi di quantostabilito e al fine di evitare disordini.Come abbiamo visto precedentemente il sistema mezzadrile, che si ba-sava su un’agricoltura estensiva, fu messo a dura prova dagli ingenti sfor

zi bellici, a questo si deve aggiungere che l’Italia aveva appena avviato unprocesso di modernizzazione agraria che fu rapidamente rallentato conl’entrata in guerra.Inoltre preme segnalare che la manodopera diminuì sensibilmente e inquesta prospettiva in campagna, come in città, le donne assunsero un ruolopredominante nella produzione. Per la prima volta divennero le protagoni-ste di buona parte del tessuto produttivo e industriale del paese.
 Assieme a loro furono impiegati anche i prigionieri di guerra per cercare di far ren-dere al massimo la produzione.
I dati relativi alla produzione dei principali prodotti agricoli dal 1915al 1916 evidenziano come la Toscana e in particolare Siena riuscirono aresistere agli sforzi della guerra. In quegli anni crebbe sensibilmente la pro-duzione di uva mentre il grano, nonostante una diminuzione riscontrabilenel 1917, si mantenne costante. Ciò fu possibile grazie anche ad un accor-do tra padroni e coloni per preservare il territorio e, molto probabilmen-te un ruolo predominante lo ebbe anche la speranza di terra che in varieoccasioni la classe dirigente aveva annunciato per calmierare la situazione.Relativamente all’agricoltura possiamo dire che non si trattò di un collas-so del sistema ma di una tenuta, anche se con gravi sacrifici, che trovò ilcollante proprio nei patti antichi su cui si basava questo modello econo-mico. Riscontro di ciò si trovano anche nell’attività del Consorzio Agrarioche crebbe sensibilmente nel periodo della guerra grazie ad investimentinell’acquisto di macchinari per incrementare e migliorare la produzionedel frumento. Ciò conferma che, ogni qual volta venivano effettuate ope-razioni di credito agrario di miglioramento, il valore della produzione au-mentava sensibilmente. Assieme a questo furono realizzati anche numero-si interventi nel campo dell’edilizia. Come scrive Bertini il Consorzio riuscìa crescere grazie alla sinergia con il Monte dei Paschi.
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 Da qui emergonodue aspetti: il credito agrario, scarsamente considerato dalle istituzioni li- berali, era elemento essenziale per la modernizzazione agraria; fu in quelperiodo che Banca e potere agrario si legarono in modo indissolubile per ilcontrollo del potere locale.Ponendo lo sguardo sulla città di Siena possiamo notare che, nono-stante quanto detto sopra, il problema alimentare caratterizzò tutti glianni del conflitto. La situazione non divenne mai critica perché in cittàera presente una strutturata rete solidale già dalla fine dell’Ottocento. Edè su questo aspetto che preme soffermare l’attenzione, anche se rapida-mente, per comprendere il fiorire di iniziative di solidarietà negli anni del conflitto.
Analizzando i numeri del mutuo soccorso in Toscana possiamo vede-re come tra il 1894 e il 1904 la maggioranza delle associazioni (in questostudio si riportano insieme riconosciute e non) si concentravano nella pro-vincia di Firenze, seguita da Pisa e infine da Siena.
 I dati sui soci sonoproporzionali a quelli sul numero delle società con Firenze al primo po-sto seguita da Pisa e Siena. Relativamente a quest’ultimo dato possiamostendere ulteriori riflessioni. Dal 1885 al 1904 il tasso di incremento medio(Ratio1) mostra valori positivi in tutta la regione (ad esclusione di Grosse-to). Di particolare interesse il caso di Lucca (+3.85%) e Arezzo (+2.34%)che crebbero sensibilmente al contrario di altre realtà come Firenze, Pisa eSiena che mantennero un trend costante di crescita. A Siena dunque il mutuo soccorso ricopriva un ruolo significativo nellacomunità come è stato evidenziato dagli studi di Stefano Maggi e AntonioCardini.
 Nei dati sopracitati si trova un’ulteriore spiegazione della grandeefficienza della solidarietà senese negli anni della Grande Guerra. Il conflit-to, quindi, non trovò impreparata la città, che, probabilmente, riuscì a sal-varsi dal tracollo sociale ed economico anche per queste motivazioni. Ciòdimostra come la solidarietà debba essere individuata come un elementosintomatico dello sviluppo e del progresso di una comunità.Il Comune decise di calmierare le forti proteste istituendo, per le fa-miglie povere che avevano un familiare al fronte, una mensa popolaredelle «zuppe economiche». L’iniziativa, gestita dal Comitato femminiledi assistenza civile per la patria (presieduto da Bianca Bindi Sergardi dePazzi), riscosse un così ampio successo tanto che nel maggio del 1917l’intera piazza del Mercato fu adibita a questo scopo. Il Comitato, inol-tre, era impegnato nella realizzazione degli «scaldaranci» che venivanoinviati al fronte per permettere ai soldati di scaldare le gavette. Si trattavadi un’operazione su larga scala che portò perfino alla nascita dell’Operanazionale Scaldaranci.Le donne senesi lavoravano senza sosta producendo numeri impressio-nanti. Il gruppo pro-lana del Comitato era concentrato nella preparazionedi vestiti per i soldati impegnati a resistere nelle trincee del fronte alpino. Laforte richiesta di indumenti idonei portò ad un sensibile incremento dellaproduzione, grazie anche all’impiego di 250 alunne delle scuole elementari,delle infermiere e delle pazienti della città manicomiale, della clinica oste
trica e dell’asilo Butini Bourke. Questo portò a far partire per il Nord Italia185 pacchi personali.
Le signore della Croce Rossa si occupavano della preparazione dei pac-chi di cibo e vestiario da inviare ai prigionieri militari in Austria. Ma, cometestimoniato da alcuni reduci, non sempre giungevano a destinazione.
 Spesso le autorità militari bloccavano le spedizioni perché i detenuti neicampi austriaci erano visti come persone che si erano arrese troppo facil-mente al nemico.
 La propaanda prende il controllo della città

Queste erano le problematiche che il fronte interno portava con sé eche la macchina della propaganda si impegnò alacremente a nascondere infavore di una vittoria finale, che non si sapeva se e quando sarebbe arrivata.Già prima dell’entrata in guerra dell’Italia, a Siena era sorto il Comitatoper la preparazione civile che avrebbe dovuto coordinare tutte le attivitàdi beneficienza e assieme alle autorità preposte si sarebbe dovuto occuparedel sostegno alla popolazione. Le operazioni a sostegno della Guerra diven-nero “totalizzanti”; le persone, per la prima volta, furono travolte da un’on-data propagandistica di condizionamento a sostegno dell’impresa bellicastatale che le coinvolse in ogni aspetto della quotidianità. Espressioni come«barbaro nemico» e «terre irredente» erano all’ordine del giorno ed impie-gate negli ambiti più disparati. Quest’ultimo aspetto evidenzia quanto sifosse deciso di investire sull’idea stessa di territorio, su una visione salvificae sulla necessità di un nuovo Risorgimento che andasse a completare il per-corso di unificazione nazionale.Le autorità comunali prestavano soccorso alle famiglie di coloro cheerano partiti per il fronte con contributi di cassa e con donazioni di naturafilantropica. I dipendenti pubblici ebbero un trattamento economico pri-vilegiato: inizialmente mantennero il proprio stipendio, solo quello degliufficiali fu dimezzato. Analoghe premure furono riservate anche ai dipen-denti del Monte dei Paschi e l’istituto di credito senese fu in prima lineadel fronte economico impegnandosi nel lancio di prestiti nazionali con untasso d’interesse del 5%.Le famiglie nobiliari e dell’alta borghesia senese avevano risposto conprontezza alla chiamata della patria, mostrando anche una certa propen

sione filantropica. In prima istanza alcuni donarono alla causa nazionaleoggetti in oro e in argento, piccole cose che assumevano però un significatoprofondo. La nobiltà sentiva su di sé il peso di dover guidare la popolazionein un periodo critico come quello che l’Italia, l’Europa e il mondo stavanovivendo. Tra tutti spiccava senza dubbio la figura del conte Guido Chigi Sa-racini che partì con la sua automobile, adattata ad ambulanza, arruolandosiper poter così soccorrere i soldati feriti. La Grande guerra può essere vistaanche come quel momento in cui la classe nobiliare volle riappropriarsi deivalori cavallereschi, assopitisi sul tramonto dell’età moderna, che l’avevanocontraddistinta per secoli. I potenti senesi misero a disposizione anche dueville di campagna come quella Chigi Saracini a Castelnuovo Berardenga equella della Suvera dei Bichi Borghesi che furono adibite ad ospedali milita-ri.
 Anche a Siena furono istituiti numerosi ospedali di guerra tra cui quellipresso l’Istituto S. Teresa, l’Istituto Tommaso Pendola e il Collegio Tolo-mei, precisamente nei locali del Liceo Guicciardini che fu spostato pressol’Università e il ginnasio in un appartamento sito in via dei Rossi.Uno dei problemi più imminenti era quello di come provvedere al so-stentamento di tutte quelle famiglie che con bambini e anziani si trovavanoin condizioni di disagio. Recenti contributi hanno sottolineato quanto sianecessario guardare, con scrupolo, all’evoluzione delle istituzioni scolasti-che per acquisire elementi nuovi per poter studiare, in modo innovativo, ilprocesso di sviluppo di una nazione.
 In questa prospettiva d’indagine laGrande guerra appare come un punto di osservazione privilegiato per co-gliere aspetti interessanti sul ruolo ricoperto dal mondo della scuola nell’a-limentare e sostenere la macchina della propaganda.

La vita dei ragazzi fu sconvolta e mutata a seconda delle esigenze delconflitto. All’interno dei negozi di giocattoli riproduzioni perfette di canno-ni e fucili presero ben presto il posto degli orsacchiotti e dei giochi tradizio-nali. Le aule scolastiche divennero il luogo privilegiato dove formare unagenerazione pronta a forgiarsi con il sangue delle battaglie; per facilitare il buon esito di questa operazione i programmi didattici furono riadattati per 

far sviluppare tra i giovani un interesse verso il concetto di patria e di nazio-ne. In un tale contesto educativo la ginnastica militare, che si era sviluppatanel corso dello Stato liberale, fu assunta come materia “eletta” in quantofigura stessa dell’impegno del soldato sul campo di battaglia.
 A Siena l’evoluzione di queste teorie educative era perfettamente in li-nea con le altre realtà della penisola, come si evince dalle pagine del perio-dico «Ars Educandi», edito dall’Associazione pedagogica senese.
 Il docen-te in questi anni assunse un ruolo determinante nella società, cosa che nonera mai avvenuta nel periodo liberale. Forti di questa considerazione daparte dello Stato maestri e professori si impegnarono con decisione e spiri-to patriottico per promuovere questo «nuovo corso educativo». Per questomotivo furono promosse numerose iniziative volte a sostenere lo sforzo bellico, tra queste ricordiamo anche un significativo impegno di natura eco-nomica messo in campo dagli alunni del Liceo Classico di Siena guidati dalprof. Giovan Battista Bellissima.
 Le operazioni dedicate a far nascere unpatriottismo ardente tra le giovani generazioni, riscossero i risultati speratianche a Siena, a conferma di ciò ricordiamo che anche Remigio Rugani,destinato a divenire una figura chiave del fascismo senese, partì giovanis-simo volontario per il fronte forse incantato anche dal mito di Enrico Totiche, pur senza una gamba, era andato a combattere per la patria. Assiemeagli studenti che partirono ci furono anche quelli che si impegnarono atti-vamente in città a sostegno dei nostri soldati. Ranuccio Bianchi Bandinelli,divenuto presidente di un comitato studentesco per gli orfani di guerra,si fece promotore di diverse attività tra le quali una lotteria che aveva perpremi bambole realizzate a mano:

Mentre molti dei problemi di oggi cesseranno di esistere col cessare dellaguerra, quello dell’assistenza a coloro che hanno per essa perduto il sostegno el’affetto paterno, persuaderà per altri anni ancora in tutta la sua importanza eticae sociale. Lo stesso ministero di P.I. ha favorito perciò a che accanto degli altrie maggiori comitati di assistenza per gli orfani, ne sorgesse in molte città pureuno fra gli studenti secondari. Anche a Siena si è costituito un tale comitato. Ilquale iniziò la propria attività con la lettura fatta dall’egregio prof. Frittelli delpoema del sangue, delle lagrime e della gloria che vinsero Gorizia, e si presenta 

oggi con un’iniziativa totalmente diversa: una mostra cioè e lotteria di bambole bellissime.
Le scuole senesi, oltre ad una funzione strettamente didattica e propa-gandistica, svolsero anche l’importante compito assistenziale nei confrontidi tutti quei bambini che avevano visto partire i propri padri per il fronte.Nel 1915 sorse il Comitato di assistenza e preparazione civile che, già apartire del 1916, istituì degli asili per questi bambini in via Duprè e in viaGaribaldi (dai 3 ai 6 anni) e nelle scuola della Fortezza (dai 6 ai 9 anni). Que-ste strutture, aperte dalle 8 alle 16, ospitavano circa 100 fanciulli.
 Anche il Collegio San Marco ospitò giovani le cui famiglie versavano in stato didifficoltà.In questo clima di forti tensioni e drammi sociali le contrade offrironoun contributo sostanziale per la popolazione, incentrando il proprio ope-rato proprio sulle funzioni di mutuo soccorso. Potremmo parlare di unostato all’interno dello stato che, già come aveva fatto nel corso delle guerreper l’indipendenza italiana, seppe dare risposte concrete ai propri contra-daioli, divenendo così un punto di riferimento per tutti coloro che eranostati colpiti dalle nefandezze che il conflitto portava con sé.Le contrade seppero essere anche un chiaro punto di riferimento per ilgravoso problema degli orfani e delle loro condizioni. Se le contrade, salvorari casi, nel corso della loro esistenza sono riuscite a vivere in un presenteatemporale rispetto alla dimensione storica, questo primo conflitto su scalaglobale segnò notevolmente la vita delle diciassette contrade, che persero ipropri figli in luoghi spesso sconosciuti e visti come inarrivabili dalla mag-gior parte della popolazione.
Verso il fascismo: la funzionale “rievocazione” della memoria della Grande uerra

La guerra per l’Italia finì il 3 novembre del 1918 con la firma dell’armi-stizio e con la cessazione delle ostilità il 4. Quel giorno il generale Diaz, for-te del suo successo, si rivolgeva così all’Austria-Ungheria: «I resti di quelloche fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senzasperanze le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». La vittoriaitaliana giungeva un anno dopo la disfatta di Caporetto e il successivo pas-saggio di consegne tra Cadorna e Diaz alla guida del regio esercito. Dopo la 

gioia del momento, per la fine di quella che Benedetto XV definì un’«inutilestrage», l’Italia dovette fare i conti con le diplomazie delle altre potenze vin-citrici finendo per essere travolta dal divenire storico e non ottenendo tuttociò che, sull’onda lunga di Vittorio Veneto, si pensava di poter considerareormai come un diritto acquisito italiano. Per una serie di cause la storianon seguì il sentiero che la politica italiana pensava e per questo, dopo pocotempo, si arrivò a parlare di «vittoria mutilata».La delusione, assieme ad una mancata ricompensa di natura territoria-le, portò con sé anche una serie di problematiche, inevitabili, per un con-flitto di tale dimensione. Assieme alle perdite umane, che stravolsero l’in-dice demografico del Paese, anche l’economia e l’intero settore produttivoerano destinati ad essere segnati in modo indelebile. La nazione fu colpitada una forte crisi lavorativa e del settore industriale, che faticò non poco ariconvertirsi ad usi civili dopo l’esperienza come industria bellica. Coloroche tornarono dal fronte dopo aver visto le atrocità che la guerra modernaaveva portato con sé, una volta a casa, dovettero subire anche la vessazionepsicologica da parte di chi era rimasto, temendo che i reduci potessero sot-trargli il lavoro. Questa situazione portò a una forte crisi politica tra popo-lazione e istituzioni, destinata a sfociare in quello che è comunemente chia-mato «biennio rosso» e che spianerà la strada all’ascesa di Benito Mussolini. Anche a Siena la situazione fu speculare a quanto stava avvenendo neglialtri territori «lontani dal fronte». La città fu sconvolta da un forte males-sere sociale e le autorità, già piegate dagli anni del conflitto, con difficoltàriuscirono a tenere sotto controllo l’evolversi degli eventi.
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 Il fascismo futra i primi soggetti che colsero l’importanza della memoria della Grandeguerra. Così, attraverso un’operazione politica vincente, riuscì a divenirel’araldo di certi valori patriottici e dell’idea stessa di nazione. Con questascelta di campo il movimento guidato da Mussolini ottenne il consensodi ampi strati della popolazione in un momento critico come i primi anniventi del Novecento:
Bisogna diventare migliori, bisogna che tutti gli italiani si considerino soldatifedeli al loro posto, alla loro consegna. Il lavoro tranquillo, ordinato, intelligente,deve diventare la norma fondamentale di vita di tutti I buoni cittadini italiani: bi-sogna rispettare leggi, tradizioni, tutto ciò che rappresenta l’elemento spirituale efondamentale nella vita di un popolo [Mussolini].
Dopo il primo governo Mussolini videro la luce, in tutta la penisola,numerose iniziative volte ad alimentare la fiamma del ricordo del Primoconflitto mondiale. In questa prospettiva la scuola, ancora una volta, ap-parve il volano giusto per lanciare una nuova macchina della propagandaa difesa dei valori nazionali e delle glorie italiane. Celebrare il mito dellaGrande guerra divenne anche un monito per rivendicare quanto le potenzeeuropee avevano negato all’Italia al termine delle trattative di pace con iPaesi sconfitti. Anche il fascismo senese decise di puntare con forza sulla consacrazio-ne di quelli che furono i valori che avevano spinto gli italiani a battersi ala-cremente per la patria. Il 22 aprile del 1923 fu inaugurato a San Prospero, aridosso della fortezza medicea, il parco della Rimembranza senese, nell’oc-casione furono messi a dimora più di 100 alberi. Ognuno era dedicato, condelle apposite targhette, a un caduto per ferita in combattimento. Fu isti-tuita anche una Guardia d’onore composta dagli alunni più meritevoli dellescuole elementari cittadine:
Grande animazione per le vie, bandiere tricolori, selve di bandiere, gallerieintere di bandiere tricolori fasciano Siena in questo giorno consacrato alla celebra-zione dei suoi morti in guerra. Il campanone alle 9 comincia a suonare e non si sapiù quando smette, mentre da Piazza del Campo incomincia a muoversi il corteogrande. Vi partecipano scuole, università e tutte le associazioni – dico tutte – cit-tadine: patriottiche, rionali, sportive, le 17 contrade, tutti i sindacati locali aderentialle corporazioni fasciste e reparti della Milizia Nazionale […] Così Siena con lemanifestazioni di questi due giorni ha dato un’idea della potenza fascista: Milizianazionale, sindacati nazionali, e Parco della Rimembranza, e cioè: Vittorio Venetoche rivoluziona e rinnovella nella disciplina, nell’ordine e nell’inquadramento mi-litare tutta la gente dell’Italia guerriera, pronta ai nuovi cimenti.
L’opera che doveva rappresentare la magnificenza del fascismo seneseera l’Asilo monumento, progettato dall’architetto Vittorio Marani e ispira-to all’arte senese del periodo umanistico-rinascimentale. Il Comune, condelibera del 1919, aveva stabilito la necessità di realizzare una scuola per i«bambini del popolo» e di affidarne poi la gestione all’Associazione asili in-fantili senese. La costruzione fu avviata il 2 luglio del 1922, con la posa dellaprima pietra da parte del principe Umberto di Savoia nel corso di una ceri-monia solenne. I lavori furono ultimati nel settembre del 1924 e fu inaugu-rato il 28 dello stesso mese alla presenza del re Vittorio Emanuele III: «Il re 
che conobbe la trincea e il camminamento, che visse nell’inferno del fuoco,il Re fante in grigioverde consacrerà il rito della dedicazione allo spirito dicoloro che riposano sotto le croci di legno della vittoria».
 Così l’articolistade «La Scure» rivolgeva il suo saluto al re:
Siena scura e repubblicana oggi issa sui pennoni e all’angolo delle torri mer-late tutte le vecchie bandiere: con essa in una fioritura nuova splendono le aquilee i fasci romani per onorare in Voi la realtà della Patria, per trarre l’auspicio delMartirio di tutti i caduti per la santa causa e ben operare per i destini imperialidell’Italia bella.
L’asilo doveva divenire la rappresentazione di un valore, volutamentedimenticato dai liberali e dai socialisti negli anni che seguirono il conflitto,che tornava a splendere negli animi della popolazione:
È la generazione del Carso e del Montello che combatté […] per piantare il tri-colore sugli ultimi termini della Patria, è la massa anonima delle scarpe chiodate,dei panni logori e stinti, dagli elmetti senza piume e senza penne che non ebbe unfiore al suo ritorno né un sorriso nell’ora della pace. Sono i resti dei battaglioniche sanguinarono su le dolinee sui picchi delle aquile sono soprattutto gli arteficidi dodici vittorie incontaminate che dopo l’urlo della mitraglia udirono l’urlo della belva in trionfo, dopo il gemito dei compagni agonizzanti sentirono il canto deidisertori e dei traditori. E quando tutta l’Italia sembrò prona all’esaltazione delmito barbarico della teppa russa, quando il nome […] della Patria fu bestemmiatoinsultato, e ai fanti senza pane e senza lavoro si lanciava lo scherno e l’aggressionealle spalle, allora quando il silenzio dell’indifferenza e dell’odio aleggiò sui cimiteridopo l’ultimo rombo di cannone, la gioventù italica dalle mille vite e dai millecuori balzò in piedi a vendicare i morti e a liberare i superstiti.
Nel fregio della facciata fu apposta un’iscrizione volta a richiamare ivalori patriottici tra le nuove generazioni:
Una realizzazione architettonica destinata a lasciare il segno in modoindelebile all’interno di un preciso progetto politico di riqualificazione ur- bana messa in atto dal podestà di Siena Fabio Bargagli Petrucci e che, di lì a poco, avrebbe portato alla luce l’atipicità, rispetto al contesto nazionale,del fascismo senese.In conclusione possiamo dire che dal 1919 si aprirono nuovi scenaripolitici, economici e sociali che avrebbero mutato radicalmente la societàitaliana e senese, anche se a Siena la classe dirigente riuscì a preservare ilproprio potere rafforzando ancora di più il legame tra Banca e agricoltura. Attraverso una rilettura della storia agraria italiana e locale, anche alla lucedelle nuove tendenze della storia economica, si possono aprire nuovi spuntidi riflessione per poter studiare il fascismo senese. Ripartire dagli studi diBevilacqua, Bertini, Rogari, Rossi Doria e Pescosolido, comparandoli conquelli di Federico e di alcuni suoi allievi come Martinelli, diviene essenzia-le per provare a proporre contributi innovativi nel dibattito storiografico,per avviare così un dialogo con la storiografia internazionale e in parti-colare con quella spagnola che, grazie alle ricerche di Carmona, Fernan-déz, Pinilla e Simpson, ha saputo dare una nuova linfa agli studi sulla storiadell’agricoltura.
Autori: Silvia Bianciardi e Giacomo Zanibelli

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