Era il 1996 e scrissi il mio primo articolo per Il Carroccio; avevo 21 anni e l’amore della mia vita era Siena: donna riccamente vestita, madre tenera e accogliente. Convinto fermamente di aver ricevuto un grande dono, non potevo immaginare la mia esistenza distante da queste lastre e da questi mattoni. Le strade, i vicoli, le piazze, così puliti e curati; la protezione delle contrade, diciassette famiglie; quel conoscersi un po’ tutti e quella voglia di rimarcare orgogliosamente la nostra unicità. Avevo 21 anni e pensavo che il nord fosse Porta Camollia con lo sguardo verso le colline del Chianti ed il sud Porta Romana con il suo splendido prolungamento verso la Val d’Orcia. Le mie amicizie abitavano all’interno delle mura, le feste del sabato sera erano in società, le prospettive di vita non ammettevano voli extramoenia. Qualcuno penserà ad una immatura e limitata idea di vita, sicuramente, ma oggi, a 43 anni, ancora qui, a scrivere per Il Carroccio rifletto su come la mia generazione, in realtà, avrebbe potuto rappresentare l’ultima possibilità per traghettare questi giovani e acerbi pensieri in qualcosa di moderno, più ampio, in un sentimento più vasto e sincero. I figli degli anni settanta hanno vissuto e maturato una Siena unica, ma all’interno di una società in evoluzione, hanno percepito quel rumore del mondo che gira e hanno allungato il passo oltre la collina, oltre la protezione della Civitas. Genitori e nonni, ancora con il ricordo di una Siena dove si vive tranquilli con le chiavi lasciate attaccate all’uscio, figli e nipoti che iniziavano un processo di integrazione all’interno di altre realtà. Integrazione facilitata dalle nuove e veloci forme di comunicazione tecnologica, ma sempre con un bagaglio di amore, storia, sana faziosità che avrebbe potuto innescare un processo di sviluppo per una comunità ormai non più al passo con i tempi. Abbiamo sbagliato, non ce l’abbiamo fatta: in alcuni casi siamo letteralmente fuggiti dal nostro primo amore, in altri ci siamo arroccati all’interno di una finta retorica nascondendo e nascondendoci l’inadeguatezza di una città che se voleva rimanere come l’avevamo amata aveva il dovere di cambiare. Abbiamo assistito con doloroso silenzio all’allontanamento dei senesi dal centro storico e di conseguenza al deterioramento dei nostri rioni, all’assenza di socializzazione quotidiana, differente dall’appuntamento organizzato. Ci siamo ritrovati soli a difendere la nostra storia anche quando era palese che la chiusura di botteghe di artigiani e commercianti rappresentava l’ennesimo passo verso una perdita di identità culturale difficilmente recuperabile. Siamo stati partecipi, fingendoci anche orgogliosi, della creazione di realtà che rendevano sempre più difficile la vita all’interno delle mura come le limitazioni per i mezzi di trasporto e regole, solo senesi, per il sistema dei parcheggi auto. E poi la nostra tradizione, le nostre contrade sempre più luoghi dove andare e non, come dovrebbe essere, dove vivere e di conseguenza il Palio, ormai appuntamento e non più momento. Anche di fronte a queste realtà, la mia generazione non ha saputo reagire, ha barcollato e poi si è fatta comprare da chi con il Dio denaro ti raccontava che in realtà Siena non sarebbe mai dovuta cambiare perché avrebbe rischiato di diventare una qualunque città con i suoi pericoli, il suo inquinamento, la cementificazione, con il suo degrado quando il degrado morale era già insediato, quando la sicurezza era già a rischio e quando l’inquinamento dell’opportunismo, della vanagloria e della disonestà ci stava già mangiando. Abbiamo preferito pensare che a Siena non sarebbe mai servito il resto del mondo anche quando da nord a sud non avevamo strade di collegamento adeguate alla contemporaneità. Potevamo pretendere una ferrovia decente che in tempi ragionevoli ci consentisse di scegliere mettendoci a paragone con altre realtà, ma non l’abbiamo fatto perché avevamo paura di scoprire che forse vivevamo in una Siena completamente da distruggere e ricostruire. Non ci siamo soffermati sull’opportunità di avere uno scalo aeroportuale e l’abbiamo lasciata come idea valida, ma nelle mani di chi non aveva a cuore una Siena moderna, ma solo la solita Siena da dove attingere e succhiare. Potevamo impegnarci socialmente e politicamente, ma non l’abbiamo fatto. Amiamo la nostra città, ma non è sufficiente. Ci ritroviamo padri quarantenni a raccontare ai nostri figli di una Siena che fu e mai di una Siena che è. Per quanto belli i ricordi son destinati a perdersi se non parliamo mai al presente e, una volta persi, allora sì che la memoria storica di una comunità rischia l’oblio. Abbiamo però un’ultima possibilità, noi figli degli anni settanta e ultimi testimoni di un gioco virtuoso che per i tempi, veramente, rendeva Siena unica in Italia, possiamo raccontare cosa è successo, abbiamo nella testa quel necessario cambiamento a cui deve sottostare tutta la comunità se vogliamo ancora nutrire speranza per il futuro. Siamo rimasti indietro, dobbiamo per forza accelerare per immaginare almeno un recupero. Negli ultimi anni ho visto, con dolore misto a senso di liberazione, una città stesa a terra con la faccia nel fango, l’ho guardata tirarsi su, ancora non in piedi, la vedo seduta mentre si sta togliendo la melma dagli occhi. E’ più povera, ha abiti normali, ma è più elegante. E’ un’umile signora Siena che vuole lavorare affinchè le strade del centro tornino ad essere abitate, vuole incoraggiare i giovani ad investire tra le mura cittadine senza vincoli burocratici e limitanti balzelli, ma solo con la passione di chi mette in piazza le proprie capacità, vuole viaggiare Siena e allo stesso tempo vuole accogliere rendendosi “reperibile” e facilmente raggiungibile. Siamo nel 2018 e questa Città vuole sentirsi libera di tornare a credere nell’iniziativa privata e di presentarsi agli altri genuina nell’offerta e, sempre tipicamente senese, nel rispondere prontamente a qualsiasi domanda. E’ anche più leggiadra Siena, ormai libera da desueti e pesanti fardelli, gli stessi che le dicevano di sopportare la lentezza e lontananza dal mondo perché all’interno di quelle sacche gonfie e piene c’erano tutto il denaro e tutta la sicurezza economica di cui avrebbe avuto bisogno ed a cui non avrebbe potuto rinunciare. Ancora poco tempo per rimettersi stabile in piedi, appena il tempo di riconoscersi e poi di corsa, ancora una volta come fosse il suo ultimo Palio, nuovamente orgogliosa verso quel futuro che fino ad oggi non siamo stati capaci di prenderci. Il futuro non inteso come meta, non come stravolgimento di noi stessi e del nostro essere, ma futuro inteso come un luogo dove Siena farà parte del mondo e ne accetterà le regole evolutive. Futuro come posto speciale dove depositare tutti i nostri ricordi fatti di presente, storia, tradizione, unicità, bellezza, ma soprattutto, tanto, tanto amore.
Fonte: Il Carroccio
