Amaranto Urbani, il fantino delle occasioni perdute
“Sono innanzitutto a volermi scusare se sono con questa mia a disturbarLa, ma non essendo lontano il Palio di luglio, sono a rivolgerLe la mia calda preghiera, acciò voglia anche quest’anno tenermi in considerazione”.
Con queste parole si rivolgeva alla Contrada della Chiocciola, nell’aprile del 1937, il fantino Amaranto Urbani detto Boccaccia. Nel luglio 1936 aveva montato nella Contrada di San Marco espletando al meglio gli ordini del Capitano, e pertanto riteneva che fosse giusto meritarsi una seconda possibilità perchè: “…non per vantarmi ma mi sentirei in grado di portare codesta gloriosa Contrada in testa a tutte le altre”. La genuina spontaneità del fantino nato nel Comune di Selci in provincia di Rieti, non ebbe successo, forse a causa della sconfitta di agosto con Folco nel Nicchio e Amaranto dovette aspettare ancora due anni, prima di poter tornare in Piazza.
La storia di questo abile e sfortunato fantino è stata riscoperta da una delle meritevoli ricerche di Michele Fiorini, realizzata con tutto l’affiatata squadra di senesi e appassionati che fa capo al gruppo “Ricordi di Palio”. La luce postuma della ribalta innescata da questo lavoro – culminato nel documentario “Boccaccia (Amaranto Urbani, il rimpianto di una vita” – è stata tale che il Comune di Selci ha deciso di dedicare una sala comunale al fantino che in quei luoghi nacque nel 1912, morendo giovanissimo a soli 44 anni.
Amaranto aveva nel nome già impresso il destino di una vita travagliata, e punteggiata da eventi davvero sfortunati che lo hanno perseguitato lungo tutta la sua carriera paliesca che va dal 1932 al 1953, facendo registrare 22 presenze e 2 ritiri.
Stimato da tutti i colleghi, in special modo da Giuseppe Gentili detto Ciancone, con il quale gareggiava nelle polverose corse di provincia dell’alto Lazio, Amaranto aveva la non comune dote di essere un ottimo partente, ma purtroppo non fu mai bagnato dalla gloria del vincitore.
Tutti a Siena ricordano le vicende del famoso Palio della Pace del 20 agosto 1945. Amaranto fu la vittima sacrificale di una serie di eventi fuori controllo. Con il giubbetto della Tartuca partì primo per due volte, ma la solerte malafede del mossiere Pini che annullò ambedue le mosse era un ostacolo troppo difficile da superare. Doveva vincere il Bruco, tutto era predisposto per questa soluzione. Tutti lo sapevano. Solo la Tartuca, ed evidentemente anche Rubacuori che andò a vincere con Folco nel Drago, erano di parere contrario. La Tartuca, unico caso nella storia del Palio, ritirò il cavallo per protesta e Amaranto pianse lacrime di dolore e rimpianto: “Mi portasti via! – scrisse, in seguito, a Giulio Pepi – Quello era l’unico Palio che avrei vinto”.
Come in un film western, il duello tra il mossiere Lorenzo Pini e Amaranto si ripete l’anno successivo nella carriera del 2 luglio 1946. Amaranto con Folco nell’Oca, è tra i favoriti alla vittoria insieme a Ganascia che monta Piero nel Montone. Scatta subito in testa Amaranto guadagnando alcuni colonnini di vantaggio sugli altri ma, passato San Martino, il fantomatico Pini fa scoppiare il mortaretto, oppure fu proprio Ragno, lo storico operaio del Comune addetto allo scoppio e appassionato montonaiolo, a fare di testa sua; ma in ogni caso la mossa deve essere ripetuta ed in quella buona, ha la meglio Ganascia con Piero. Nel dopo-Palio si scatenata l’ira degli ocaioli che insieme ai tartuchini vogliono picchiare il mossiere Pini. Nella confusione viene rotta anche l’asta del Cencio.
Nello straordinario del 1947 veste ancora il giubbetto di Fontebranda e parte bene anche questa volta ma a San Martino il suo cavallo Cesarino frana rovinosamente ed il Palio per il fantino di Selci finisce qui.
Amaranto si chiude in stesso. Queste vicende lo rendono ancora più insicuro, sebbene la voglia di emergere, di far vedere a tutta il Siena il suo valore sia ancora il suo scopo della vita. Avrà altre occasioni, soprattutto montando la forte Salomè. La fiducia in lui da parte delle Contrade è ancora viva, ma non ci sarà nulla da fare: Amaranto chiuderà la carriera senza vittorie segnando una delle storie più commoventi e sfortunate della storia del Palio. Quasi come un eroe dell’antica Grecia, Boccaccia (un soprannome inutile perchè tutti lo chiamavano e lo chiamano tutt’oggi Amaranto) sembrava combattere contro tutti gli dei dell’Olimpo, come un moderno Sisifo, costretto a scalare la montagna con il peso di un masso che ogni volta rotola giù e che ogni volta deve riprendere per iniziare una nuova scalata verso la vetta.
Eppure la sua storia ci commuove ancora. Il ricordo ci rimanda ad un’epoca in cui i fantini cercavano nel Palio, il riscatto da una vita di provincia avvolta da una dignitosa povertà e si rivolgevano alla “Spett.le Contrada”, con una lettera scritta a mano, “perchè anche quest’anno voglia tenermi in considerazione”.
Giovanni Gigli
Fonte: (da “La Voce del Campo”)
Nella foto articolo e in evidenza a cavallo sul soprallosso il fantino Amaranto Urbani


Una commovente ricostruzione, un caro ricordo, di un uomo che ha impersonato lo spirito della competizione, il lato tragico e poetico del mondo degli esseri umani, così appassionato e a volte ingrato.
Mi piace ricordare quanto riportato dal sito oksiena.it:
“E’ stato proprio il Comune di Selci, piccolo e suggestivo paese di poco più di mille abitanti immerso nella natura ed adagiato sulle diramazioni occidentali dei Monti Sabini, a volere fortemente questa celebrazione di uno dei suoi figli più illustri e, a tutt’oggi, ricordati. Gli anziani del posto ancora narrano le gesta di Amaranto (che nella loro inflessione dialettale diventa quasi sempre Amarando) e le tramandano ai più giovani, raccontando la sua eleganza e la sue capacità di fantino, come pure la sua onestà e rettitudine di uomo semplice: caratteristiche che lo fecero entrare a pieno diritto nel mondo del Palio, ma che pure ne ostacolarono i successi, spesso e volentieri legati a doppio filo a quegli accordi sotterranei tra fantini ai quali mal volentieri si piegava e dei quali rimase spesso e volentieri vittima, sfiorando in più occasioni la vittoria ma mai riuscendo ad alzare il nerbo al bandierino”.
Grazie, a nome del paesino Selci.
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Una commovente ricostruzione, un caro ricordo, di un uomo che ha impersonato lo spirito della competizione, il lato tragico e poetico del mondo degli esseri umani, così appassionato e a volte ingrato. Andare avanti per passione, non cedere alla sfortuna o alle ingiustizie, e vedere immutato l’affetto della gente e del pubblico, in riconoscimento dell’abilità e dell’onestà.
Notevole anche il contributo dell’Associazione “Ricordi di Palio”, che oltre a gettare luce su questo pezzo importante della nostra tradizione nazionale, un modo anche per tessere dei collegamenti tra Siena e i luoghi di origine dei Fantini.
Mi piace ricordare quanto riportato dal sito oksiena.it:
“E’ stato proprio il Comune di Selci, piccolo e suggestivo paese di poco più di mille abitanti immerso nella natura ed adagiato sulle diramazioni occidentali dei Monti Sabini, a volere fortemente questa celebrazione di uno dei suoi figli più illustri e, a tutt’oggi, ricordati. Gli anziani del posto ancora narrano le gesta di Amaranto (che nella loro inflessione dialettale diventa quasi sempre Amarando) e le tramandano ai più giovani, raccontando la sua eleganza e la sue capacità di fantino, come pure la sua onestà e rettitudine di uomo semplice: caratteristiche che lo fecero entrare a pieno diritto nel mondo del Palio, ma che pure ne ostacolarono i successi, spesso e volentieri legati a doppio filo a quegli accordi sotterranei tra fantini ai quali mal volentieri si piegava e dei quali rimase spesso e volentieri vittima, sfiorando in più occasioni la vittoria ma mai riuscendo ad alzare il nerbo al bandierino”.
Grazie, a nome del paesino di Selci.
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