Palio di Asti: I Marescaldi

MARESCALDO, NON BARBARESCO!
Nella lingua italiana il termine “barbaresco” designa la persona incaricata ad accudire il “bàrbero”, cioè il cavallo scelto per la Corsa del Palio. Termine un tempo diffuso, diventato poi specifico del solo Palio di Siena, e tornato in auge negli ultimi decenni in tutte le località dove si svolgono manifestazioni del genere. Ad Asti il “barbaresco” non solo ha una tradizione antica, ma il suo nome specifico, e cioè Marescaldo. Nello scritto che segue se ne spiega il perché.
“Il Palio di Asti, assieme a quello di Siena, è l’unico tra i moltissimi che si celebravano nell’Italia di Antico Regime ad essere caratterizzato, almeno da cinquecento anni, dalla competizione tra sodalizi collettivi di tipo socio-territoriale. Rispetto alla città toscana, che istituisce ex novo il suo “Palio delle Contrade” verso la metà del XVII secolo, Asti si dimostra ben più precoce: la presenza di organismi associativi si può far risalire al tardo Medioevo, e rimane a lungo esclusiva, al punto da fare del nostro Palio un unicum nel panorama delle innumerevoli manifestazioni consimili, attuali od estinte che siano..
Una simile peculiarità ha fatto sì che la storia del Palio astigiano si evolvesse lungo binari esclusivi, elaborando non solo uno specifico folklore di lunghissima continuità e durata, ma anche ritualità e modalità del tutto originali. Non è questa la sede per esaminare ed approfondire la tipologia dei concorrenti nel nostro Palio antico; vale però la pena di ricordare come dal 1638 i sodalizi antichi di tipo laico e festivo, ormai in profonda crisi istituzionale e partecipativa, vengono rimpiazzati da organismi associativi di tipo devozionale e assistenziale: le Confraternite e le Compagnie parrocchiali. Dotate di ottima organizzazione, di una gerarchia piramidale ma molto allargata verso la base, e non ultimo di una buona disponibilità di reddito, saranno le protagoniste dei palii astigiani fino all’epoca napoleonica. Proprio la loro dimensione collettiva (spesso molto consistente, con diverse centinaia di aderenti) fornisce alla celebrazione della Festa una partecipazione corale di grande impatto scenografico ed emotivo; al tempo stesso impone una gestione della partecipazione al Palio di tipo pubblico, e quindi con esigenze pressanti di trasparenza e di condivisione che potremmo definire “democratiche”. Aspetto eloquente, in tal senso, è la scelta e l’approvvigionamento dei cavalli destinati alla Corsa, cioè la gestione del punto cruciale attorno cui ruota tutto il mondo complesso e sfaccettato della celebrazione festiva. Confraternite e compagnie sono solite acquistare il cavallo che difenderà i propri colori, scegliendolo, dopo estenuanti discussioni e dibattiti interni, tra i migliori esemplari di cui si abbia notizia in un territorio piuttosto vasto, compreso tra Torino ed Alessandria. La spesa per l’acquisto è di solito ingente, e per ammortizzarla e recuperarla (soprattutto in caso di mancata vittoria) le Confraternite mettono a punto il “lotto del cavallo”: una lotteria vera e propria, con tanto di vendita di biglietti e pubblica estrazione, il cui vincitore, con un minimo esborso, si porta a casa un destriero spesso di valore. Naturalmente il successo della lotteria e la sua redditività dipendono sia dal risultato conseguito dal Cavallo nella corsa, sia dalle sue condizioni fisiche: al “lotto” per il vincitore i biglietti vengono furiosamente contesi, a quello dell’ultimo arrivato, o peggio ancora malconcio o ferito, il rischio del flop è sempre presente. Ecco quindi che il perseguimento della Vittoria e del benessere dei corsieri erano esigenze anche materiali e pratiche oltre che etiche e morali. In questi organismi collettivi, abituati a delegare e coordinare le diverse funzioni, la salute del Cavallo, la sua preparazione, la supervisione del suo mantenimento e, nel caso, la cura di eventuali ferite era affidata ad un personaggio particolare e di grande importanza: il MARESCALDO. La parola non è altro che l’italianizzazione dell’astigiano “MARESCALD”, traducibile senza esitazione con “maniscalco”, perché di maniscalchi, a tutti gli effetti, si trattava. Attenzione però, la sua figura non va ridotta a quella di un semplice artigiano specializzato nel ferrare i cavalli. Nel nome astigiano riverbera quasi intatta la sua origine etimologica, che deriva dall’antico germanico-francone: dove “mahr” significa cavallo, e “skalk” attendente, servitore. E’ la stessa etimologia di “maresciallo”, grado militare creato da Filippo Augusto re di Francia nel XIII secolo per onorare e ricompensare il “mahr-skalk” cioè il responsabile delle scuderie reali. Nel XVII e XVIII secolo i MARESCALD astigiani assommavano all’abiltà artigianale anche l’autorevolezza di una grande esperienza, che li rendeva anche provetti veterinari e imbattibili conoscitori del mondo equino. Non a caso un MARESCALDO figura sempre accanto ai “Signori Eletti” nelle cerimonie importantissime della “Descritione” e della “Recognitione”, dove il Cavallo veniva iscritto ed ammesso alla Corsa dietro esame attento e meticoloso delle sue condizioni di salute e della sua conformazione fisica.
E’ proprio ai MARESCALDI che vengono affidati i Cavalli acquistati per la Corsa; quasi certamente essi stessi confratelli, ed altrettanto certamente tra gli artefici della loro scelta. Pur godendo della fiducia degli altri confratelli, non lavoravano su base volontaria: venivano retribuiti e gli si rimborsavano le eventuali spese impreviste. Nell’Archivio della Confraternita della Trinità sono conservate le più antiche attestazioni. Ad esempio nelle rendicontazioni degli anni 1648 e 1651 al Marescaldo viene pagata una quota fissa “ per il servitio al Cavallo giorni otto” (superiore alla retribuzione del fantino) e in più gli vengono ricompensati i lavori di ferratura e di medicazione, nonché il rimborso “per tanta colla di pino data al Marescaldo” Non di rado i marescaldi sono anche fantini. Pietro Francesco Marro è “marescaldo visitatore” per il Comune nel 1744; suo figlio Matteo Lorenzo proseguirà la professione paterna, ma passerà alla storia come uno dei più grandi fantini (otto vittorie documentate) col soprannome di Forzino, che gli deriva dalla forgia utilizzata nel suo mestiere. E’ probabile che in casi del genere il fantino-marescaldo riunisse le due funzioni, e si occupasse egli stesso della preparazione e delle cure del Cavallo. Il ruolo di “consulente ippico” svolto dai Marescaldi è evidente in un curioso componimento poetico del 1784. Autore è il maestro da ballo Vittorio Bodone detto “Sininini, noto per essere un pronosticatore quasi infallibile sui risultati della Corsa, e per esporre i suoi vaticinii in versi dialettali.
Quell’anno la Compagnia di San Secondo aveva acquistato un bel cavallo grigio su cui riponeva propositi di vittoria, ricorrendo alla monta di Francesco Cortese detto Cristofino, ma celebrato anche come “Paggio dell’Inferno” per grinta e risolutezza. Riportiamo per brevità solo la parte che interessa il nostro discorso:
“Ses Cavaj a j’an provà,
per la Corsa destinà.
Tuti ses son d’bel umor
Veuj spiegheij ‘l so valor.
Er Marescard, e ‘r Pagi d’Infern
Pensavo an sra Corsa già da st’Invern:
al Caval Gris, e a coi d’San Sgond
na bela ancioa ansuma a ‘n tond.”
Il pronostico si avverò in pieno, e San Secondo dovette accontentarsi dell’Acciuga: ma rimane il fatto che a “purgarsi” (come si dice nel moderno gergo paliesco) non furono solo il fantino ed i sansecondini, ma anche il MARESCALDO che senza dubbio li aveva consigliati ed indirizzati!

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