Palio, Siena e Guerra: La Prima guerra mondiale

La Prima guerra mondiale
Quel 24 maggio, tanto celebrato e mitizzato negli anni successivi, aprì le porte alla più grande carneficina che il nostro paese avesse mai visto. Era quasi un anno che gli imperi centrali si scontravano sui campi di battaglia europei con le democrazie occidentali e la Russia. In casa nostra gli interventisti conducevano una lotta serrata per entrare nel conflitto e liberare le terre occupate dall’Austria-Ungheria come il Trentino, il Friuli Venezia Giulia e Trieste con l’Istria Italiana. Alla fine la loro battaglia fu premiata e il 24 maggio del 1915 l’Italia, tra l’entusiasmo generale, entrava in guerra a fianco di Francia e Inghilterra. Dopo tre anni e mezzo la guerra fu vinta e i territori furono liberati, ma si incominciò ovunque a contare i morti e i numeri furono terrificanti. Per comprendere appieno quanto fu pernicioso l’evento per Quercegrossa è bene ricorrere alle statistiche di carattere nazionale per poi confrontarle con quelle locali. A quel punto potremo capire cosa veramente successe tra il 1915 e il 1918. L’Italia entrò in guerra con una popolazione totale di circa 37 milioni di abitanti. Di questi circa 5.900.900 (dico quasi sei milioni di persone) furono mobilitati dall’esercito e di questi 4.800.800 vennero impiegati in zone di guerra. In questo totale si ebbero due milioni e mezzo di ammalati e i ricoveri complessivi furono circa cinque milioni.
Molti si rifiutarono di continuare a marcire nelle trincee e 870.000 disertarono almeno una volta. Un alto numero raggiunsero i renitenti alla leva che furono 160.000. Quattrocentomila i processi di insubordinazione con 210.000 condanne, 15.000 condanne all’ergastolo e 4.028 esecuzioni con fucilazione “alla schiena”.
Alla fine si ebbero 600.000 morti (per alcuni oltre 700.000 comprendendo quelli che per varie conseguenze decedettero dopo il 4 novembre 1918), per ottenere poco più di quanto ci aveva offerto l’Austria per rimanere fuori dal conflitto. Le perdite umane furono quindi l’1,6% della popolazione. Il popolo di Quercegrossa, del quale è difficile quantificare i richiamati, su una popolazione di 600 anime ebbe 23 caduti, cioè il 3,8% del totale. Quasi tre volte la percentuale nazionale. Sono cifre che parlano da sole. Naturalmente la guerra, come tutte le guerre, lasciò anche il suo doloroso strascico di feriti, invalidi, vedove e disoccupati. Il costo della vita, rispetto ai valori del 1913, aumentò notevolmente di quattro volte circa nel 1919 e sei volte nel 1920, abbattendosi come al solito sui più bisognosi e fu foriero di quella crisi socio-politica che porterà al potere il fascismo. L’analisi dei dati di questa guerra ci porta a calcolare che i richiamati di Quercegrossa dovrebbero essere stati circa 80 uomini e se così fosse la percentuale dei caduti sarebbe veramente eccezionale. Se tanti furono i richiamati pochi sono i ricordi rimasti. Un po’ perché velati dal Secondo conflitto mondiale che prese il posto nelle conversazioni e nell’epica, se così si può dire, un po’ perché quegli anni si allontanavano sempre più e venivano meno i protagonisti e i loro congiunti. Negli anni Novanta scomparvero gli ultimi “Cavalieri di Vittorio Veneto”.
Anche quest’anno, in una bella domenica di novembre ho assistito alla benedizione della lapide dei caduti delle due guerre. Anche se è una piccola e sbrigativa cerimonia liturgica che si ripete ininterrottamente dal 1919, è sempre permeata di tristezza. Il parroco, don Giulio, dopo la Messa, ha pregato per questi morti e ha benedetto le due lapidi circondato da un piccolo gruppo di fedeli. Poche le famiglie di quei soldati che ancora sono presenti nel nostro popolo. Si possono trovare ancora gli Auzzi, i Bianciardi, i Barucci, i Finetti, i Porciatti e i Buti dell’Arginano. Quest’ultima famiglia è l’unica ad aver avuto un caduto in entrambe le guerre.
La lapide venne inaugurata nel 1919 e benedetta da don Luigi Grandi. Vi furono scolpiti tutti i nomi dei soldati deceduti del popolo di Quercegrossa e il senatore Sarrocchi scrisse l’epitaffio alla loro memoria:

PERCHE’ NEI SUOI GIUSTI CONFINI
FOSSE SICURA LA PATRIA
TRASMIGRARONO GIOVINEZZE EROICHE
DALLA QUIETE OPEROSA DEI CAMPI AL SACRIFICIO SUPREMO
O SULLE CONTESE FRONTIERE NEL TUMULTO DELLE ARMI
O IN TERRA STRANIERA FRA I MARTIRII DELLA PRIGIONIA
ALLA LORO MEMORIA
ONORATA E BENEDETTA IN ETERNO
IL POPOLO DI QUERCEGROSSA
POSE
MCMXIX
Caduti nella 1° G.M. con l’età, così come sono disposti sul marmo (ci sono alcuni errori nell’età):

Auzzi Giuseppe 28     Bianciardi Pietro 33
Panti Nello 28             Donnini Pietro 33
Porciatti Carlo 23       Fabbri Vittorio 19
Branconi Livio 24      Finetti Sabatino 27
Forni Celestino 25   Giovannini Giovanni 26
Porciatti Agostino 26   Manganelli Guido 22
Vegni Settimio 22       Barucci Giuseppe 24
Gori Amos 23               Guerrini Rizieri 25
Tanzini Emilio 28               Buti Enrico 28
Meli Niccolò 28       Porciatti Giovanni 25
Sancasciani Martino 38   Anichini Federico 28
Mugnaini Dante 22

Lapide dei Caduti
Fu posta sotto “gli archi” a destra della porta d’ingresso. Molti anni dopo, nel 1955, don Ottorino Bucalossi, con la ristrutturazione fatta per ampliare la chiesa, la murò all’interno, a destra appena entrati, e lì rimase fino al 1975 circa quando, insieme alla nuova piccola lapide dei caduti del Secondo conflitto, venne collocata da don Pierino Carlini di nuovo all’esterno, sul fianco destro della chiesa dove si trova attualmente.

Pochi i ricordi, come detto, di questo grande avvenimento, ma tra questi ce n’è uno particolare, di una tristezza infinita. Leggiamolo insieme. E’un bambino che scrive sul retro di una cartolina postale due righe per il suo babbo lontano:

Guido Buti ha sette anni. Offre questo suo ricordo al babbo Arturo (una foto) e spera di rivederlo presto. Il babbo tornerà, ma Guido non avrà la stessa fortuna 25 anni dopo, quando sarà disperso in Jugoslavia. 

A sinistra Arturo Buti di Quercegrossa, a destra Narciso Pistolesi. Narciso dimorava allora in Val d’Arbia. Le foto, quasi tutte in questa classica posa, erano inviate come ricordo alle lontane famiglie. Spesso erano scattate a Siena durante una licenza, in uno specializzato studio fotografico.

Guerra_9 L’altro Buti in guerra, Guglielmo detto Memo, catturato dal nemico era stato confinato prigioniero in Germania. A casa, Casagrande di Quercegrossa podere Andreucci, aveva lasciato un canino che non si era mai dimenticato di lui. Un pomeriggio il canino sonnecchiava sul muretto della loggia. Memo arriva dopo tanto tempo ed è accolto festosamente. Lui lo sente, rizza gli orecchi. Un guaito e dall’alto della loggia si getta ai piedi di Memo. Un volo di quasi tre metri. Mai fedeltà ebbe tanto esempio. Non se la passava bene Guglielmo in Germania. Al pari di tutti i prigionieri mangiava bucce di patata e erba medica per sopravvivere.

Guglielmo Buti, bersagliere dell’11° Sussistenza. Di leva a Firenze dal 16 ottobre 1907 al 15 ottobre 1910. Vedi più avanti il suo stato di Servizio.

Anche Sabatino Finetti di Macialla ebbe la cattiva sorte della prigionia, e ci rimase per sempre. Fu visto l’ultima volta da conoscenti in un campo di concentramento. Videro anche una bella, rigogliosa erba verde. La mattina dopo il campo era stato rasato dalla fame dei prigionieri. Fu dichiarato morto per malattia il 28 marzo 1918.
Giuseppe Barucci del Poderino fu uno dei tanti militari spentisi per malattia. Dopo anni di combattimenti morì a causa di un banale male e la sua sfortunata fine avvenne dopo che la guerra era finita da venti giorni. La salma venne rimpatriata. Accolta con onore dal picchetto dell’esercito alla stazione di Castellina Scalo, fu scortata al cimitero di Castellina in Chianti e ivi sepolta.
Tra i tanti renitenti alla leva ce ne fu uno anche a Quercegrossa, un contadino di Petroio. Gli era arrivata la cartolina, ma la guerra sembrava finire e lui non partì anche perché aveva chiesto l’esonero come minatore e l’aspettava da un momento all’altro: il giorno lavorava nei campi e la notte in miniera. Era una vita da cani la sua; ma si fa questo e altro per vivere. Ma l’esonero tardava ad arrivare. Dopo qualche giorno si presentano i carabinieri a Petroio che cercano Giovanni Carli. Alcuni vicini lo avvertono. Al podere Paradiso c’era un moro che con i suoi lunghi rami toccava la finestra della cucina. Nanni fece la sua scelta e non ci pensò due volte. Scivolò sulla pianta e scappò a gambe levate verso la miniera dove rimase chiuso per due giorni, senza vedere luce. Diventò disertore e ricercato (non si scherzava a quei tempi). Poi ebbe l’esonero, la guerra stava davvero per finire e tutto gli fu perdonato. Il suo cugino e capoccio Luigi Carli detto Gigi, era prigioniero e detenuto forse in Jugoslavia: rientrò dopo alcuni anni. A casa erano tutte donne e vecchi. Per questo Nanni ritenne opportuno di non andare a fare la guerra mentre c’era da attendere a cose ben più importanti. Le ultime classi richiamate furono quelle dei giovanissimi del 1899 e 1900. I “ragazzi del 99” vennero chiamati per l’ultima spallata all’Austria e fecero in pieno il loro dovere. Di seguito, alcune esperienze di guerra.

Dante Oretti Dante Oretti, nato a Quercegrossa nel 1900, era appunto uno di quelli, anche se al momento dell’arruolamento non abitava a Quercegrossa, ma vi sarebbe ritornato col matrimonio con Dina Mori. La sua storia presenta dei lati comici ma anche dei risvolti drammatici e io ve la presento così come me l’ha raccontata lui stesso.
Ecco quanto mi ha raccontato il Moro dei suoi ricordi personali della Grande guerra 1915-1918, seduti al fuoco del camino del bar o sulla panchina che dà sulla piazza nelle lunghe e stellate notti estive, mentre si preparava una sigaretta “Nazionale” che camuffava da “Nazionale col filtro”. Portava in tasca un bel batuffolo di cotone che teneva in un pacchetto vuoto. Con delicatezza si rigirava una sigaretta tra le dita, la batteva di punta sul palmo della mano e ne faceva fuoriuscire un po’ di tabacco. A quel punto girava uno stecchino nel batuffolo e realizzava un piccolo tampone di cotone che abilmente infilava nella sigaretta all’estremità svuotata di tabacco. Levava di tasca la sua scatola di fiammiferi di legno e accendeva aspirando con voluttà. “Non sai quanto gli fa questo cotone per i polmoni” mi rispose quando obiettai sull’utilità del sistema. Sarà… Quando raccontava in piazza parlava a bassa voce per non disturbare e, specialmente quando i racconti erano piccanti, occhiolava continuamente le finestre in alto: “ssssss, parlate piano”.
Tornando alla Grande guerra, il Moro è reclutato con la sua classe del 1900, che è anche l’ultima a partecipare al conflitto. Riceve la cartolina e parte; siamo nel 1918. Dopo un periodo senese viene inviato al suo reggimento che raggiunge una sera sul tardi. L’unità è schierata in prima linea nell’ultimo sforzo per abbattere l’Austria. Si presenta al Comando e qui viene informato del grave sbaglio commesso: si doveva presentare alla sede di Ferrara per un periodo di addestramento e non al Reggimento al fronte. Mentre è a rapporto e le prime ombre della notte si allungano nella valle, una serie di esplosioni consecutive rimbombano nell’aria. Tutti fuori della tenda, e vedono dei bagliori che come lampi illuminano la linea dell’orizzonte che si intravede sull’altipiano. Era iniziato un cannoneggiamento notturno sulle nostre linee e i cannoni austriaci vomitavano ferro e fuoco sulle trincee italiane. Al Moro viene indicata una grotta seminterrata per proteggersi, che lui si affretta a raggiungere. L’artiglieria italiana risponde al fuoco dando vita a un duello che durerà delle ore. La terra trema e nell’aria si spande l’acro odore della polvere da sparo. Il Moro è rannicchiato, tremante dal freddo e dalla paura e così passerà la nottata, una nottata d’inferno che non dimenticherà mai. Un battesimo di fuoco in piena regola e ci possiamo immaginare quello che può aver provato un ragazzo di diciotto anni che solo pochi giorni prima se la godeva beatamente. Appena albeggia si ripresenta al graduato di turno per ricevere ordini: “Devi partire, però ti accompagno io perché è pericoloso con i cecchini austriaci sempre all’erta”. Si avviano ratti ratti, protetti da sacchi di terra, passano carponi gli spazi meno protetti rasentano greppi e protezioni di cannicci messe dalla truppa e a un certo punto il sergente gli dice: “Ora puoi andare, non c’è più pericolo”. Il Moro si rialza e muove il primo passo. Ta-pum. Il colpo secco si spande nell’aria e una rasoiata alla mela fa saltare il Moro. Il cecchino lo aveva inquadrato e colpito, ma per fortuna la ferita è solo di striscio e la pallottola che gli poteva fracassare il bacino si infila nel terreno. Viene trasportato all’ospedale di campo. Non sembra niente ma l’infezione lavora e trascorrerà alcuni giorni in preda alle febbri. Racconta che lo avevano già coperto credendolo morto, ma la sua forte fibra regge al male e in pochi giorni si rimette e raggiunge finalmente il suo battaglione a Ferrara. E’ qui che si rende protagonista di un increscioso e pericoloso incidente a causa di quel suo caratteraccio, che poteva avere delle conseguenze molto gravi, ma anche questa volta e forse per intervento superiore da Siena se la caverà senza danni. Assegnato alla fureria, doveva collaborare con un commilitone volontario negli Arditi, messo ai servizi a causa di una infermità determinata dalla poliomielite che gli aveva impedito un braccio, ora penzolante inerte sul fianco. Il nostro compaesano non si raccapezzava e un giorno, entrato in confidenza con l’Ardito, ebbe il coraggio di dirgli apertamente quello che gli frullava per la testa: “Ma come mai sei venuto qua con codesto braccio, a fare il volontario, mentre potevi stare a casa, in famiglia?”. Non terminò la frase, la mano buona del commilitone, offeso da queste parole, gli si schianto sulla faccia e lo stordì per qualche secondo. Perse il lume degli occhi e la ragione. Fece partire un cazzotto, un diretto che colpi al volto l’Ardito e “gli feci fare un volo di tre metri” disse il Moro. Dopo poco il conflitto finì e giunse l’amnistia. Ma Dante rimase per sempre legato alla guerra. Ci pensava a ricordarglielo la sua famosa mantellina d’ordinanza, fornitagli dall’esercito, che lui portò a casa e indossò nelle stagioni più fredde fino alla fine dei suoi giorni, senza mai separarsene. Era usata quando la ritirò in fureria. Un largo taglio da scheggia fece dire che c’era morto un soldato. Fin dai primi freddi autunnali lo si vedeva avvolto fino al viso da questo indumento, dove lui si nascondeva sicuro per difendersi dal vento il giorno, per poi distenderla a mo’ di piumino sul letto la notte. Oggi questa sua fedele compagna di una vita, è diventata un vero cimelio con tanto di buchi e strappi ed è conservata con affetto dai nipoti.

Giotto Fontana Giotto Fontana
Classe 1888. Il fornaciaio Giotto a 20 anni è di leva e, inquadrato nel 9° bersaglieri, viene inviato a Napoli. E’ subito impiegato nella missione di soccorso per i terremotati di Messina dove riceve il Diploma di fregiarsi della medaglia commemorativa: “Che prestò opera soccorritrice nel luogo devastato dal terremoto”. Termina i due anni di servizio di leva ad Asti. Richiamato nel 1911 in occasione della guerra di Libia, non parte e rimane sei mesi a Livorno. Tornato a Quercegrossa, dopo il matrimonio con Alessandrina Ticci è richiamato in servizio nel 1915 per la terza volta e partecipa attivamente alle operazioni belliche della Prima guerra tanto da meritare la croce di guerra al valor miliare: Fontana Giotto da Castelnuovo Berardenga, caporale del 3° reggimento bersaglieri, matricola n° 18626, “Incitando i bersaglieri della propria squadra, con la parola e con l’esempio, si slanciava all’assalto di un forte trinceramento nemico. Lagazuoi Piccolo, 27 ottobre 1915”. Col decreto del 1926 ricevette la Croce di Guerra e nel 1968 l’attestato di Cavaliere di Vittorio Veneto. Durante il servizio di leva fece parte della banda musicale del reggimento come suonatore di cornetta.
Giotto Fontana in una foto dell’8 aprile 1918. Ebbe una citazione al merito.

Callisto Candiani Callisto Candiani
Classe 1900. A Riccieri durante la guerra, torna al Poderino nel 1924.
Callisto fu reclutato di leva il 14 marzo 1918.
Alto 1,50, barrocciaio di professione.
Il 10 ottobre 1918 fu trasferito al 23° Reggimento di fanteria quando la guerra stava per finire. Successivamente passò a un Reparto autonomo del Ministero della Guerra in cavalleria e prestò servizio a Parma e Alessandria. Venne congedato nel dicembre 1921 percependo il previsto premio di congedamento a pane e vestiario, invece dei pochi spiccioli.

Callisto Candiani detto “Carlo”al centro della foto. Abitava a Riccieri quando venne arruolato di leva negli ultimi mesi di guerra e fece in tempo a scendere in trincea. 

Luigi Carli
Classe 1880. Sappiamo che trascorse alcuni anni di prigionia prima di rientrare in Italia. Aveva prestato il servizio di leva per 23 mesi nel 1900/01 in forza al 59° fanteria di stanza a Torino.
Landi Giuseppe di Serafino
Classe 1884. Trascorse 34 mesi da militare come appuntato nel reggimento cavalleggeri Foggia dal 1904 circa. Fu a Napoli e Palermo nel Reggimento “11° Cavalleggeri di Foggia”. Senz’altro partecipò al Primo conflitto mondiale.
Nocciarelli Fedele
Classe 1895. Arruolato di leva è inviato al fronte dove viene ferito in una delle tante battaglie del Monte Grappa. Riconosciuto invalido riceve la pensione di guerra. Al tempo della Grande guerra, Fedele abitava a Pornano di S. Fedele.

I caduti
Ventitre giovani e uomini tolti alle loro famiglie, alle loro mogli, ai loro bambini.
A loro va il nostro pensiero riconoscente, ammantato di tristezza. Un grande quadro contenente tutte le foto dei caduti della grande guerra era conservato nella nostra chiesa parrocchiale, appeso alla parete a destra dell’altar maggiore. Lo ricordo benissimo. E’ andato perso per l’incuria degli uomini.

Auzzi Giuseppe fu Brunone. Soldato 69° reggimento fanteria, nato il 18 gennaio 1886 a Castelnuovo B.ga distretto militare di Siena, morto il 18 novembre 1915 nell’ospedale da campo 230 per malattia. Abitava a Pietralta. Giuseppe era avvezzo alla vita militare essendo stato richiamato più volte fin dall’età di 20 anni quando venne inquadrato nel 52° Reggimento di Fanteria e si fece due anni a Roma. A seguire, altro servizio a Lecce per 11 mesi e 13 giorni. Infine venne richiamato a Siena per 20 giorni nel 1911. Dopodiché prese moglie. Poi arrivò anche la l’ultima cartolina per la sua breve guerra di sei mesi.

Anichini Federico di Pietro. Soldato 197a batteria bombardieri, nato il 18 agosto 1890 a Castellina in Chianti, distretto militare di Siena, morto il 23 maggio 1918 in prigionia per malattia. Di Gaggiola.

Bianciardi Pietro di Ferdinando. Soldato 172a compagnia mitraglieri, nato il 4 febbraio 1885 a Castellina in Chianti, distretto militare di Siena, morto il 5 febbraio 1918 a Messina per malattia. Dell’Olmicino.

Giuseppe Barucci Barucci Giuseppe di Pietro. Soldato reggimento cavalleggeri di Monferrato (27°), nato il 19 aprile 1894 a Poggibonsi, distretto militare di Siena, morto il 26 novembre 1918 all’ospedale da campo n° 240 per malattia. Del Poderino.

Nella foto a fianco Giuseppe Barucci del Poderino.
Tumulato a Castellina in Chianti.

Branconi Livio di Giulio. Soldato 59° reggimento fanteria, nato il 5 aprile 1892 a Siena, distretto militare di Siena, morto il 23 aprile 1916 nell’ospedale da campo n° 122 per ferite riportate in combattimento. Dell’Olmicino.

Buti Enrico di Giuseppe. Soldato 32° reggimento artiglieria da campagna, nato il 12 novembre 1890 a Castelnuovo B.ga, distretto militare di Siena, morto il 15 dicembre 1918 a Padova per malattia. Viveva all’Arginanino.

Pietro Donnini Donnini Pietro di Serafino. Soldato 36° reggimento fanteria nato il 30 giugno 1886 a Radda, distretto militare di Siena, morto l’11 febbraio 1918 in prigionia per malattia. Abitava al Leccino.

Nella foto a destra Pietro Donnini

Fabbri Vittorio di Giuseppe. Soldato 60° reggimento fanteria, nato il 26 settembre 1899 a Castelnuovo B.ga, distretto militare di Siena, morto il 13 marzo 1918 nell’ospedale da campo n. 0130 per malattia. Di Belvedere.

Finetti Sabatino di Pietro. Soldato 82° reggimento fanteria, nato il 13 marzo 1891 a Castelnuovo B.ga, distretto militare di Siena, morto il 28 marzo 1918 in prigionia per malattia. Di Macialla.

Forni Celestino di Niccolò. Nato a Quercegrossa-Vagliagli il 27 maggio 1891 del 128° reggimento di fanteria, morto il 5 giugno del 1916 all’ospedale di riserva Tolomei di Siena. Sepolto tra i caduti nel cimitero della Misericordia di Siena. Abitava al Casino.

Giovannini Giovanni Soldato 202° reggimento fanteria, nato il 3 maggio 1893 a Siena, distretto militare di Siena, morto il 19 agosto 1918 nell’ospedaletto da campo n° 119 per infortunio per fatto di guerra. Residenza sconosciuta.

Gori Amos di Cesare. Caporale Maggiore 30° reggimento fanteria, nato il 20 ottobre 1893 a Radda in Chianti, distretto militare di Siena, morto il 21 novembre 1916 sul Carso per ferite riportate in combattimento. Del Casalino.

Guerrini Rizieri del 60° reggimento di fanteria, nato il 4 marzo 1893 a Castelnuovo B.ga, distretto militare di Siena, morto il 12 dicembre 1918 nell’ospedaletto da campo n° 22 per malattia. Di Belvedere.

Mugnaini Dante di Antonio. Soldato 2° reggimento bersaglieri, nato il 2 dicembre 1897 a Castelnuovo B.ga, distretto militare di Siena, morto il 4 giugno 1918 in prigionia per malattia. Dante viveva a Bellavista, presso i Gambassi, dove era rientrata la mamma dopo la morte del marito Antonio Mugnaini il 19 ottobre 1900 a Castagnoli.

Manganelli Guido di Luigi. Soldato 2° reggimento bersaglieri, nato il 15 aprile 1896 a Gaiole in Chianti, distretto militare di Siena, morto il 20 settembre 1918 in prigionia per malattia. Abitava alle Redi.

Meli Niccolò di Cesare. Soldato 14° reggimento bersaglieri, nato il 14 settembre 1889 a Castelnuovo B.ga, distretto militare di Siena, morto il 6 dicembre 1917 sull’altopiano di Asiago per ferite riportate in combattimento. Abitava alla Magione.

Porciatti Giovanni di Cesare. Soldato 28° batteria bombardieri, nato il 2 agosto 1894 a Castellina in Chianti, distretto militare di Siena, disperso il 20 maggio 1917 sul medio Isonzo in combattimento. Di Castagnoli.

Porciatti Agostino di Cesare. Soldato 87° reggimento fanteria, nato il 25 settembre 1890 a Castellina in Chianti, distretto militare di Siena, morto il 14 giugno 1916 sul Carso per ferite riportate in combattimento. Di Castagnoli.

Porciatti Carlo di Cesare. Soldato 11° reggimento bersaglieri, nato il 5 aprile 1893 a Castellina in Chianti, distretto militare di Siena, morto il 18 aprile 1916 a Cividale del Friuli per malattia. Di Castagnoli.

Panti Nello di Giulio. Soldato 2° reggimento bersaglieri, nato il 17 dicembre 1887 a Monteriggioni, distretto militare di Siena, morto il 13 maggio 1916 nella conca di Plezzo per ferite riportate in combattimento. Abitava alla Casanuova.

Sancasciani Martino di Antonio. Soldato 113° reggimento fanteria, nato il 23 maggio 1880 a Castelnuovo B.ga, distretto militare di Siena, morto il 15 maggio 1917 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento. Di Belvederino.

Tanzini Emilio di Santi. Soldato 2° reggimento bersaglieri, nato il 2 febbraio 1884 a Gaiole in Chianti, distretto militare di Siena, morto il 16 gennaio 1917 nella 50a sezione di sanità per ferite riportate in combattimento. Di Sornano.

Vegni Settimio di Giulio. Soldato 63° fanteria, classe 1894, Asciano, distretto di Siena, morto il 24 ottobre 1916 nell’ospedale da campo n° 0108 per malattia. Di Monastero.

Alcune note statistiche relative all’elenco:
Dei ventitre caduti, otto sono morti per ferite riportate in combattimento, otto per malattia e sei in prigionia, più un disperso in combattimento.
Un solo graduato tra tanti soldati semplici: il Caporale Amos Gori.
Porciatti Cesare di Gaggiola (o Castagnoli) perse tre figlioli.
Celestino Forni fu l’unico soldato a morire a Siena.

Gli Ospedali
Gli Ospedali di Riserva erano unità di ricovero e infermieristiche che vennero disposti su tutto il territorio nazionale a seguito della grande necessità derivata dall’alto numero dei feriti e malati. Dipendevano da un ospedale centrale e tutti facevano parte di una divisione militare. Si trovavano sull’intero territorio nazionale anche gli ospedali della Croce Rossa che funzionavano in parallelo con quelli di Riserva.
A Siena si ebbero i seguenti ospedali di Riserva della Divisione Militare di Livorno:
1. Ospedale Militare “Tolomei”;
2. Ospedale Militare “Aurelio Saffi”;
3. Infermeria del Presidio e Sezioni infettivi;
4. Ospedale Civile di S. Maria della Scala;
5. Ospedale Civile S. Maria Maddalena;
6. Sinalunga – Ospedale Civile;
7. Torrita – Ospedale Civile.

Per la Croce Rossa di Siena, che dipendeva dalla Circoscrizione di Firenze, furono impiantati:
1. Ospedale Territoriale n° 1 – Siena “Palazzo al Prato”;
2. Ospedale Territoriale n° 2 – Castelnuovo B.ga “Villa Chigi-Saracini”;
3. Ospedale Territoriale n° 3 – Suvera-Colle Val d’Elsa “Villa Bichi-Borghesi”;
4. Ospedale Territoriale – Poggibonsi “Villa Montelanti (Ricasoli – Firidolfi).
Undici ospedali nella sola provincia di Siena. Proviamo a immaginare il resto d’Italia e pensiamo all’effetto che devono aver avuto sulla società d’allora, dove non c’era famiglia che non avesse figlioli al fronte.
Nel registro dei morti 1915-1916 dell’ospedale “Tolomei” c’è la registrazione della morte di Celestino Forni avvenuta alle ore 3,35 del 5 giugno 1916. Forse morì assistito dai familiari, e questo gli sarà stato di conforto. La stessa sorte non l’ebbe Pietro Bianciardi, “morto il 5 febbraio 1918 a Messina per malattia”.
Oltre al personale strettamente medico, in tutti gli ospedali prestavano la loro opera le famose crocerossine e infermiere ospedaliere, insieme naturalmente ai cappellani militari che diedero assistenza e conforto sia sui campi di battaglia sotto il fuoco nemico che sotto le tende, a feriti e moribondi. Due categorie quindi delle quali l’opera meritoria svolta non è mai stata valorizzata appieno, senza considerare i numerosi caduti che vi furono tra le loro fila.
In prima linea e nelle retrovie venivano alzati gli ospedali da campo, contrassegnati ognuno da un numero. Molti dei feriti morirono qui. Un indirizzo di esempio: 121 – Spedaletto someggiato da 50 letti. 7a Divisione – Zona di Guerra.

Pensioni di guerra
Molti dei combattenti feriti ebbero in seguito il riconoscimento della loro invalidità e ricevettero una modesta pensione mensile. Era una rendita che aiutava nelle piccole spese della famiglia oppure risparmiata e tenuta nascosta, magari sotto un mattone. Anche Quercegrossa ebbe i suoi pensionati e tra questi si ricorda Fedele Nocciarelli, che tutti i mesi andava a Vagliagli per riscuotere, mentre altri incassavano a Siena.

Prigionieri a Passeggeri
La fattoria di Passeggeri ospitò, nelle due guerre, una cinquantina di prigionieri. Il Sarrocchi, avvocato di fama che iniziava a imporsi anche nel mondo politico e che in quei primi decenni del Novecento si era dedicato alla trasformazione della sua Azienda, certamente per la carenza di uomini validi, quasi tutti sotto le armi, ricorse ai prigionieri austriaci e tedeschi che impegnò nei lavori dei campi, alla fornace, nei miglioramenti viari, per la costruzione di muri e nella manutenzione alla fattoria. Certamente questo fu possibile grazie alla sua influenza e alle sue amicizie, ma non fu un caso isolato la consegna di prigionieri a privati.

Passeggeri: a destra, con le tre finestre, la capanna che accoglieva i prigionieri.
Nella foto seguente, il robusto portone d’ingresso alla capanna.

Guerra_16

Alloggiati in una capanna di fronte alle case dei pigionali, trovarono un ambiente umano che li accolse e li rispettò e mai si è sentito parlare di tentativi di fuga, sia nella Prima che nella Seconda guerra; il racconto di Piombo, prigioniero in Germania ne è la prova lampante. Della Prima guerra si ricorda soltanto che erano grandi esperti di cavalli. Si parlava di polacchi ma tutto lascia pensare che si trattasse di ungheresi o boemi. L’esperienza positiva fu ripetuta dal Senatore anche nella Seconda guerra mondiale. Praticamente non cambiò niente. Solo che i prigionieri questa volta erano inglesi. Quando fu firmato l’armistizio, l’8 settembre 1943, per il timore che cadessero in mano tedesca, tutti quanti furono lasciati liberi (Per i particolari vedi 2° volume: Padroni)

Mobilitazione del paese Fin dal primo giorno di guerra nacquero in tutto il paese associazioni e comitati per dare aiuto materiale sia ai fanti che alle famiglie dei più bisognosi. In questa gara di solidarietà si distinsero le amministrazioni locali che organizzarono vari servizi e finanziarono assistenza alle famiglie; si ricorda quello sorto a Siena per dare notizie alle famiglie dei loro uomini in guerra. Numerose iniziative vennero prese in tutti i Comuni, e vennero create delle Sottosezioni presiedute dal sindaco stesso, che si avvalevano dell’opera dei parroci nominati membri della Sottosezione per il contatto diretto con le famiglie. Le domande per le informazioni venivano accolte per mezzo di uno stampato che doveva essere rimesso al Comune. Il parroco doveva avvertire dall’altare che si rivolgessero a lui quelle famiglie che volevano notizie dei richiamati. “Dovrà poi, ricevute le notizie, trasmetterle alle famiglie richiedenti cercando di recar conforto a quelle colpite dalla perdita o dalla malattia di uno dei loro cari combattenti”. Non privo di retorica il richiamo alla collaborazione: “Nella fiducia di concorrere potentemente alla pubblica utilità, di compiere un alto dovere civile di gratitudine verso coloro che per la patria cimentano la propria vita e di gentile pietà verso famiglie dei combattenti con cui si debbono risparmiare angosciose incertezze ed ansie indicibili sono certo del di lei interessamento”.
A cura del Comitato della Croce Rossa di Siena venne organizzata la raccolta di indumenti caldi “che valgano a riparare dal freddo nelle regioni alpine” alla quale si poteva aderire con denaro o col lavoro. In questo caso erano richiesti ventriere e pettorali in flanella di lana, camicie, mutande in flanella di cotone, calzerotti, berrettoni, sciarpe e guanti in maglia; per quest’ultimi indumenti si richiedeva possibilmente lana di colore grigio scuro. “Il patriottismo e la generosità sempre dimostrata in ogni circostanza da questa buona popolazione, danno sicuro affidamento che anche quest’opera altamente umanitaria sarà in breve coronata da massimo successo”. C’è da scommettere che anche i numerosi telai delle massaie di Quercegrossa si misero alacremente al lavoro per recare sollievo ai soldati che, come al solito, pagavano per la disorganizzazione cronica e l’insufficienza di materiali dell’esercito italiano. Fra le istituzioni si distinse la Provincia con contributi in denaro alle famiglie, come nel 1916: “In questi giorni la nostra deputazione Provinciale ha proceduto alla distribuzione delle L. 1500 stanziate dal Consiglio nel 31 maggio prossimo a favore dei militari richiamati sotto le armi, appartenenti a povere famiglie di operanti o braccianti alla ventura. I beneficati appartenenti a 34 comuni della Provincia furono 103 e la quota toccata ciascuno fu di L. 14,56”. Iniziative del genere vennero assunte anche dai Comuni. La mobilitazione totale di uomini e mezzi coinvolse anche le campagne, dove i proprietari di bestiame vennero costretti a fornire carne da macello. Su base provinciale venne resa obbligatoria nel 1915 l’incettazione di bestiame bovino, che ogni proprietario doveva consegnare al Comune nei luoghi stabiliti calcolato al 10% delle stime fatte nel 1908. Le adunate del bestiame sul quale la Commissione provinciale avrebbe fatto la scelta e acquistato i capi si tenevano a Castelnuovo, Pianella e Vagliagli, nel piazzale della fiera alle ore 15. Venivano acquistati capi sia femmine che maschi di peso vivo non inferiore ai tre quintali e mezzo e lasciati ai proprietari fino all’effettivo ritiro. In quel momento si sarebbe effettuato il pagamento. Anche la produzione del fieno fu oggetto di incettazione in quantità percentuali sul raccolto. Naturalmente l’assenza di numerose braccia causò difficoltà per i raccolti e ciò divenne fonte di preoccupazione per le autorità competenti chiamate a risolvere il problema.

Cavalieri di Vittorio Veneto
I fanti vittoriosi, abbandonate le trincee, tornarono alle loro case. Una piccola pensione per gli invalidi e qualche beneficio per le vedove. Per tutti gli altri tante parole e ringraziamenti e una croce di ferro nel 1926 dal vincente regime fascista. Ma quando meno te l’aspetti, cinquant’anni dopo, maturato nel clima delle celebrazioni della vittoria, venne un altro riconoscimento accompagnato da un modesto assegno mensile per i superstiti. Sollecitato dall’Associazioni di ex combattenti per ottenere un doveroso riconoscimento da parte dello Stato, l’ Ordine di Vittorio Veneto venne istituito dalla Presidenza della Repubblica nel 1968 per “esprimere la gratitudine della Nazione a quanti avevano combattuto per almeno sei mesi durante la Prima guerra mondiale o precedenti conflitti e che avessero conseguito la croce di ferro”. La nomina diede il diritto ai reduci di fregiarsi del titolo di “Cavaliere di Vittorio Veneto”.

Fonte: https://www.ilpalio.org

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